Autofattura elettronica anche per le commissioni Stripe e SumUp

Molto spesso le realtà e-commerce ricevono bonifici esteri per l’accredito dei corrispettivi incassati attraverso le applicazioni Stripe e SumUp. In questi casi i corrispettivi vengono accreditati sul conto corrente del merchant al netto delle commissioni trattenute dalle società che gestiscono l’applicazione utilizzata per il pagamento digitale (Stripe Payments Europe e SumUp Limited entrambe con sede in Irlanda). Il merchant riceve poi dalle predette società una fattura riepilogativa per le commissioni trattenute.

E’ bene considerare che da un punto di vista fiscale, le commissioni addebitate, ancorché da considerare esenti ex articolo 10, comma 1, del Dpr 633/1972, sono rilevanti ai fini Iva (si veda la risposta dell’agenzia delle Entrate a interpello 91/2020). E’ quindi necessario in tutti questi casi emettere autofattura in formato XML con codice documento TD17.

Non imponibile la ricarica del prepagato per effettuare acquisti online

Molti shop online consentono di effettuare acquisti anche attraverso l’utilizzo di un account prepagato previo versamento anticipato di denaro su supporti fisici (tessere ricaricabili) oppure virtuali (wallet virtuali cd “money buffer”).
In tutti questi casi ci si deve porre il problema del momento impositivo ai fini Iva: in particolare non è chiaro se la fattura deve essere emessa nel momento in cui il denaro è caricato sul supporto fisico o virtuale, oppure l’operazione si possa considerare realizzata quando si acquistano effettivamente beni e servizi oggetto di transazione.
In questi casi il versamento del denaro rappresenta una provvista per costituire un credito dal quale attingere al momento in cui gli acquisti sono posti in essere. Piu’ precisamente, se nelle clausole contrattuali che il consumatore firma per accettazione, anche con un clic apposto sul web, non è stabilito alcun nesso di corrispettività fra il pagamento anticipato e l’obbligo ad effettuare una determinata prestazione, il versamento non si configura come “acconto” ma come somma di denaro depositata a titolo di provvista per acquistare il prodotto. Quindi l’importo caricato costituisce un mero movimento finanziario e, come tale, deve essere coerentemente trattato anche sotto il profilo contabile, restano per esso escluso l’obbligo di registrazione del corrispettivo non essendo stata effettuata alcuna prestazione di servizi o cessione di beni.

Diversamente si configura un pagamento anticipato del corrispettivo solo se il soggetto che riceve il denaro assume una, quantomeno generica, obbligazione di fare. In pratica è necessario determinare quale sia il titolo in base al quale l’acquirente versa anticipatamente una somma di denaro.

Il momento di effettuazione dell’operazione è regolato anche dalla normativa comunitaria secondo la quale il fatto generatore dell’imposta si verifica nel momento in cui è effettuata la cessione del bene o la prestazione del servizio (articolo 63 della Direttiva 2006/112/Ce). Analogamente a quanto previsto nel diritto interno nel caso di pagamento di acconti anteriormente alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi, l’Iva diventa esigibile all’atto della riscossione a concorrenza dell’importo riscosso (art. 65 della Direttiva).
Tuttavia la Corte di Giustizia Ue ha chiarito che affinchè l’imposta possa diventare esigibile occorre che tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, siano già conosciuti e, quindi che, nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati. In particolare, prosegue la Corte, non sono da fatturare “i pagamenti anticipati di una somma forfettaria versata per beni indicati in modo generico in un elenco che può essere modificato in qualsiasi momento di comune accordo dall’acquirente e dal venditore e dal quale l’acquirente potrà eventualmente scegliere articoli, sulla base di un accordo da cui può recedere unilateralmente in qualsiasi momento, recuperando la totalità del pagamento anticipato inutilizzato (Sentenza del 21 Febbraio 2006, Causa C419/02). Quindi per il principio espresso in questa sentenza non sarebbe possibile assoggettare ad Iva la prestazione di “intermediazione” strettamente connessa, sia per l’importo che per l’effettuazione, con l’acquisto dei beni che saranno individuati dal cliente finale solo in un secondo momento.
Inoltre la circostanza che l’importo versato anticipatamente possa anche non essere restituito nel caso in cui il cliente non effettui alcun acquisto non comporta di per sè che la somma riscossa sia soggetta ad Iva (Corte di Giustizia Ue, Sentenza del 18 Luglio 2007 – Causa C 277/05).

Riconosciuta l’esenzione per le plusvalenze su partecipazioni in caso di start-up (il caso del licensing di brevetti)

L’ordinamento fiscale italiano (art. 87 T.U.I.R.) prevede, a determinate condizioni, un regime di esenzione per le plusvalenze su partecipazioni realizzate da società di capitali in presenza di determinati requisiti (c.d. participation exemption o “PEX”).
L’applicazione della PEX è subordinata ad una pluralità di requisiti. Tra questi, importanza fondamentale assume quello dell’esercizio effettivo di un’attività commerciale da parte della società le cui partecipazioni vengono cedute (“Commercialita`”).

Da sempre controversa è la possibilità di riscontrare tale requisito nel caso in cui la società ceduta abbia compiuto attività preparatorie o di start up.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare 29 marzo 2013, n. 7/E, ha ritenuto riscontrabile tale requisito solamente laddove allo start up faccia seguito l’esercizio effettivo di un’attività commerciale. La sola attività di start up, dunque, non integra di per sè il requisito della Commercialità. In alcuni casi particolari, tuttavia, l’attività preparatoria viene considerata essa stessa espressiva di un’effettiva attività commerciale a prescindere dallo svolgimento di attività ulteriori.

Al riguardo, l’Agenzia fa riferimento, a mero titolo esemplificativo, alle concessionarie di lavori pubblici o di attività nel settore energetico. Trattandosi di indicazioni di natura esemplificativa, è ragionevole ritenere che vi siano ulteriori ipotesi in cui la Commercialità può essere riconosciuta nelle ipotesi di start up non seguita da attività operativa. Pensiamo ad esempio alle ipotesi di sfruttamento di brevetti attraverso accordi di licensing.

In questi casi il brevetto è considerato alla stregua di un prodotto che può essere “affittato o venduto” (dato in licenza o ceduto) a fronte di un riconoscimento economico. I motivi che possono spingere un’azienda a licenziare la propria tecnologia possono essere molteplici. Per esempio, è frequente il caso in cui la tecnologia è relativa a un settore al di fuori delle possibilità produttive e commerciali dell’impresa. Pensiamo a uno spin-off universitario nato sul brevetto di una nuova molecola ad uso farmaceutico: è impensabile che da solo riesca a far fronte a tutti gli investimenti necessari per portare avanti le fasi di sperimentazione clinica, validazione e registrazione della molecola. In questi casi licenziare il brevetto a una multinazionale farmaceutica potrebbe essere la soluzione migliore per permettere allo spin-off di rientrare degli investimenti fatti, ottenere ulteriori fondi da impiegare in ricerca e sviluppo, e portare sul mercato la molecola in modo veloce ed efficace.

Un altro frequente motivo che spinge un’azienda a licenziare il proprio brevetto è quello di avere entrate provenienti da settori diversi rispetto a quelli in cui opera. Questo succede quando la tecnologia brevettata trova impiego in tanti settori di applicazione e l’azienda concede ad un terzo, sempre dietro corrispettivo, una licenza settoriale in quei settori in cui non è presente.

In tutte queste ipotesi l’autonoma rilevanza delle attività di start up dovrebbe essere riconosciuta per il fatto che pur, non essendo stato avviato un processo produttivo, la società ceduta detiene una pluralità di beni (brevetti) già organizzati per l’esercizio di un’attività di impresa. In tali casi, sotto il profilo probabilistico, è da escludersi una detenzione finalizzata al mero godimento.

 

 

The new digital services taxation

The international community is trying to set up a “tax revolution”, shifting taxation to the countries where the revenues are made. The OECD and the European Union acknowledge that the digitalization of the economy has broken the link between business and the territory and that international taxation must adapt to the evidence that the digital economy is the whole economy.

The reforming architecture is based on the so-called “Pillar 1 and 2” and summarized in the agreement reached on 8 October 2021 by 137 countries (out of the 141 adherents to the OECD and G20 inclusive framework on base erosion and profit shifting), of 94% of world GDP, which has already produced a document in public consultation on the OECD website until February 18 on Pillar 1, of the guidelines on Pillar 2 by the same organization (last December 20) and a proposal for directive of the European commission always on Pillar 2 (on December 22).

The timing is ambitious, because it is proposed to implement the reform by 2023, the year by which local digital taxes will have to be abandoned, which are not suitable for guaranteeing that multinationals pay, in a “congruous and pro quota” way, taxes in the countries where they make revenues.

Pillar 1, with a unified approach based on Amounts A and B intended for groups with more than 20 billion in turnover, aims to ensure that a state can tax non-resident companies regardless of whether they have a physical connection with that one. In fact, Amount A refers to the significant digital presence. The companies concerned, with a profitability exceeding 10% of turnover, will have to reallocate 25% of the excess profit to the countries where revenues are made.

Ifrs principles, transfer pricing rules and compliance will guide the process. Amount B is aimed at identifying a fixed remuneration for distribution and marketing activities. The extractive industries and the financial world are excluded. Double taxation will need to be managed with an ad hoc convention, “outside” the treaties, to be grafted onto the complex balance of taxation powers of individual states.

Pillar 2, to stem arbitrages, provides for the application of an effective minimum tax of 15% for companies with more than 750 million in turnover. These are the Global anti-base erosion rules (Globe) with two interconnected mechanisms, (i) an Income inclusion rule (Iir), which imposes a top-up tax on the parent company in relation to poorly taxed profits and, (ii) a support of the Iir, if the top-up tax does not apply, an Undertaxed payment rule (Utpr), which limits deductions and provides for adjustments. In addition, a Subject to tax rule (Sttr) agreement is envisaged for taxation at source on flows taxed at a rate of less than 9 percent.

On December 20, the OECD issued guidelines on Pillar 2, which consist of 10 chapters, followed on December 22 by a proposal for a directive that the Commission intends to finalize in mid-2022 with the transposition regulations of the Member States to be adopted at the beginning of 2023, in order that they adapt in a coordinated and diligent way to the new principles. The proposed directive clarifies that the Cfc (Controlled foreign companies) rules, which allow the taxation in a country of income allocated in low-tax jurisdictions, apply as a priority with respect to Pillar 2. The theme of the interaction between Cfc and Globe follows that of the compatibility of the latter with the US Gilti (the Global intangible low-taxed income aimed at intercepting income from intangible assets that is poorly taxed and different both in terms of rate – 10.5% against 15% – and as a basis for calculation). The accession of the United States to this project is the primary reason for its success and therefore it will need to be monitored these balances.

Posizione finanziaria netta: un indicatore a supporto delle start-up

Tra i vari indicatori economici oggetto di analisi da parte dei finanziatori delle start-up (e delle imprese in generale), un ruolo cruciale è occupato dall’analisi della posizione finanziaria netta (Pfn), sia come indicatore in valore assoluto, sia in rapporto ad altre grandezze, come ricavi, Ebitda o patrimonio netto.

Vediamo di analizzare qual’è la definizione corretta di questo indicatore.

Storicamente la definizione di Pfn era quella della comunicazione Consob del 2006, in cui si faceva espresso riferimento alla nozione presente nella raccomandazione del Cesr del 10 febbraio 2005.

Tale definizione era altresì ricompresa nel principio contabile Oic 6 relativo alla ristrutturazione del debito.

Questo principio è stato successivamente abrogato, in quanto le tematiche della ristrutturazione dei debiti sono andate direttamente a confluire nel principio contabile n. 19 relativo ai debiti, senza tuttavia che in quest’ultimo documento venisse riportata la definizione di posizione finanziaria netta.

Il vuoto è stato colmato il 4 marzo 2021, quando l’European securities and markets authorities (Esma) ha introdotto un orientamento che rielabora la definizione di posizione finanziaria netta. Esso è entrato in vigore il 5 maggio 2021, applicandosi quindi già alle semestrali 2021 e, a maggior ragione, ai bilanci 2021.

In primis va notato l’aspetto terminologico, per cui mentre in passato si parlava di posizione finanziaria netta, adesso il riferimento è alla nozione di indebitamento finanziario. La definizione dell’Esma appare comunque in continuità con quella Consob del 2006.

La componente che riguarda la liquidità appare simile alla precedente definizione. L’unica differenza sta nel fatto di prevedere le attività finanziarie correnti alla lettera C, mentre nella precedente definizione i crediti finanziari correnti erano fuori dalla liquidità, trovando allocazione nella successiva lettera E. La componente del debito a breve termine che conduce alla definizione di indebitamento finanziario corrente netto appare identica alla precedente definizione dello schema Consob/Cesr.

Lo stesso dicasi per le componenti dell’indebitamento non corrente. Alla lettera J ora si fa riferimento agli strumenti di debito, con una nozione che appare solo più ampia rispetto alle obbligazioni che comparivano alla lettera L precedente, ma la sostanza è in ogni caso la medesima.

L’Esma ha poi fornito ulteriori indicazioni utili. In primis in caso di bilancio consolidato anche l’indebitamento deve essere rappresentato su base consolidata. La voce Debito finanziario dovrebbe includere il debito remunerato (ovvero il debito fruttifero) che comprende, tra l’altro, le passività finanziarie relative a contratti di locazione a breve e/o a lungo termine. La voce Debiti commerciali e altri debiti non correnti dovrebbe includere i debiti non remunerati che presentano una significativa componente di finanziamento implicito o esplicito, ad esempio i debiti verso fornitori con una scadenza superiore a 12 mesi.

Al di là dell’utilizzo nell’ambito del bilancio, la nozione di posizione finanziaria netta trova spazio anche in altri ambiti aziendali di particolare importanza.

Ricordiamo, in particolare, i covenants finanziari che sono posti dalle banche per misurare la performance del soggetto finanziato.

Ad esempio, viene imposto un certo rapporto fra debito e patrimonio netto che non deve essere sforato, pena l’addebito di penali (waiver) o, nei casi più gravi, la revoca dei fidi. Altro ambito è quello delle valutazioni d’azienda, laddove l’equity value è dato dalla somma dell’enterprise value e della posizione finanziaria netta. Come dire che, se la start-up ha un valore di 100, se è indebitata per 20 allora varrà 80 per l’azionista, viceversa se ha cassa attiva per 20 varrà 120.

La nuova definizione di Pfn (orientamento Esma del 4 marzo 2021)

A. Disponibilità liquide
B. Mezzi equivalenti a disponibilità liquide
C. Altre attività finanziarie correnti
D. Liquidità (A + B + C)
E. Debito finanziario corrente (inclusi gli strumenti di debito, ma esclusa la parte corrente del debito finanziario non corrente)
F. Parte corrente del debito finanziario non corrente
G. Indebitamento finanziario corrente (E + F)
H. Indebitamento finanziario corrente netto (G – D)
I. Debito finanziario non corrente (esclusi la parte corrente e gli strumenti di debito)
J. Strumenti di debito
K. Debiti commerciali e altri debiti non correnti
L. Indebitamento finanziario non corrente (I + J + K)
M. Totale indebitamento finanziario (H + L)

Licenze per software applicativo non agevolabili con il credito d’imposta beni strumentali

E’ prassi comune nelle aziende tecnologiche ricorrere all’acquisto di licenze per software applicativi che avendo durata annuale , non vengono iscritte fra le immobilizzazioni immateriali, ma rilevate come costi in conto economico e riscontate per competenza.

Ci si chiede quindi se anche per tali tipologie di costi possa applicarsi il credito d’imposta previsto per l’acquisto di beni strumentali nuovi, materiali e immateriali (articolo 1, commi da 1051 a 1063, della legge 178/2020, di Bilancio per il 2021).

Per definizione il software applicativo viene utilizzato per una determinata funzione necessaria al fruitore, a differenza dei software “di base”, che sono rappresentati dai programmi necessari per il funzionamento del computer in sé.

La contabilizzazione dell’acquisto di un software applicativo è regolata del principio contabile Oic 24. Nel caso di software applicativo acquistato in licenza d’uso dietro pagamento di un canone periodico (come nella situazione che stiamo analizzando), i canoni devono essere iscritti in conto economico alla voce B. 7 “Costi per servizi”, secondo il principio di competenza.

Altre modalità di acquisto del software (in particolare l’acquisto a titolo di proprietà e l’acquisto in licenza d’uso a tempo indeterminato) comportano invece l’iscrizione del software nello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni immateriali.

Per quanto riguarda l’applicazione del credito d’imposta beni strumentali dobbiamo invece ricordare che con la circolare 4/E/2017 (paragrafo 6.2.2), l’agenzia delle Entrate ha chiarito – seppure con riferimento alla precedente disciplina del super/iperammortamento, ma con chiarimenti applicabili anche al credito d’imposta per gli investimenti in beni
strumentali – che «i software rientrano tra gli investimenti agevolabili ancorché acquistati a titolo di licenza d’uso, sempre che iscrivibili in bilancio tra le immobilizzazioni immateriali (voce B.I.3 dello Stato patrimoniale) in applicazione di corretti principi contabili (Oic 24)».

Pertanto, per fruire del credito d’imposta occorre che il software sia acquistato con modalità tali da richiedere l’iscrizione in bilancio come immobilizzazioni immateriali, ma tra queste modalità, come visto, non rientra l’acquisto del software in licenza d’uso dietro pagamento di un canone periodico.