Molti shop online consentono di effettuare acquisti anche attraverso l’utilizzo di un account prepagato previo versamento anticipato di denaro su supporti fisici (tessere ricaricabili) oppure virtuali (wallet virtuali cd “money buffer”).
In tutti questi casi ci si deve porre il problema del momento impositivo ai fini Iva: in particolare non è chiaro se la fattura deve essere emessa nel momento in cui il denaro è caricato sul supporto fisico o virtuale, oppure l’operazione si possa considerare realizzata quando si acquistano effettivamente beni e servizi oggetto di transazione.
In questi casi il versamento del denaro rappresenta una provvista per costituire un credito dal quale attingere al momento in cui gli acquisti sono posti in essere. Piu’ precisamente, se nelle clausole contrattuali che il consumatore firma per accettazione, anche con un clic apposto sul web, non è stabilito alcun nesso di corrispettività fra il pagamento anticipato e l’obbligo ad effettuare una determinata prestazione, il versamento non si configura come “acconto” ma come somma di denaro depositata a titolo di provvista per acquistare il prodotto. Quindi l’importo caricato costituisce un mero movimento finanziario e, come tale, deve essere coerentemente trattato anche sotto il profilo contabile, restano per esso escluso l’obbligo di registrazione del corrispettivo non essendo stata effettuata alcuna prestazione di servizi o cessione di beni.

Diversamente si configura un pagamento anticipato del corrispettivo solo se il soggetto che riceve il denaro assume una, quantomeno generica, obbligazione di fare. In pratica è necessario determinare quale sia il titolo in base al quale l’acquirente versa anticipatamente una somma di denaro.

Il momento di effettuazione dell’operazione è regolato anche dalla normativa comunitaria secondo la quale il fatto generatore dell’imposta si verifica nel momento in cui è effettuata la cessione del bene o la prestazione del servizio (articolo 63 della Direttiva 2006/112/Ce). Analogamente a quanto previsto nel diritto interno nel caso di pagamento di acconti anteriormente alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi, l’Iva diventa esigibile all’atto della riscossione a concorrenza dell’importo riscosso (art. 65 della Direttiva).
Tuttavia la Corte di Giustizia Ue ha chiarito che affinchè l’imposta possa diventare esigibile occorre che tutti gli elementi qualificanti del fatto generatore, vale a dire la futura cessione o la futura prestazione, siano già conosciuti e, quindi che, nel momento del versamento dell’acconto, i beni o i servizi siano specificamente individuati. In particolare, prosegue la Corte, non sono da fatturare “i pagamenti anticipati di una somma forfettaria versata per beni indicati in modo generico in un elenco che può essere modificato in qualsiasi momento di comune accordo dall’acquirente e dal venditore e dal quale l’acquirente potrà eventualmente scegliere articoli, sulla base di un accordo da cui può recedere unilateralmente in qualsiasi momento, recuperando la totalità del pagamento anticipato inutilizzato (Sentenza del 21 Febbraio 2006, Causa C419/02). Quindi per il principio espresso in questa sentenza non sarebbe possibile assoggettare ad Iva la prestazione di “intermediazione” strettamente connessa, sia per l’importo che per l’effettuazione, con l’acquisto dei beni che saranno individuati dal cliente finale solo in un secondo momento.
Inoltre la circostanza che l’importo versato anticipatamente possa anche non essere restituito nel caso in cui il cliente non effettui alcun acquisto non comporta di per sè che la somma riscossa sia soggetta ad Iva (Corte di Giustizia Ue, Sentenza del 18 Luglio 2007 – Causa C 277/05).