Diritti musicali percepiti da Soundreef: il conto Paypal non va “monitorato”

In qualità di gestore di una piccola etichetta indipendente carico brani musicali sulla piattaforma Soundreef . Gestisco pagamenti e incassi, praticamente tutti di modesto valore, tramite un mio account PayPal collegato al mio conto corrente bancario e alla mia carta di credito. Mi sono reso conto, però, che PayPal è una società estera e temo che le somme presenti ora e in futuro sul mio account possano essere considerate come detenute all’estero, e che gli eventuali trasferimenti al mio conto corrente possano essere considerati come un rientro di capitali, anche se ora modesti (ma spero più consistenti in futuro). Ho ragione di temere un intervento delle Entrate, o posso stare tranquillo, e continuare ad incassare le royalties musicali su Soundreef, tramite PayPal?

Risposta:

È opportuno evidenziare che, in via generale, l’obbligo di monitoraggio mediante il quadro RW (modello Redditi persone fisiche) non sussiste per i depositi e conti correnti bancari costituiti all’estero il cui valore massimo complessivo raggiunto nel corso del periodo d’imposta non sia superiore a 15mila euro (articolo 2, legge 186/2014). Resta fermo l’obbligo di compilazione del quadro, laddove sia dovuta l’Ivafe (imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero) in relazione a un valore medio di giacenza superiore a 5mila euro. In questo contesto si evidenzia, altresì, la non meglio definita natura tecnico–giuridica del sistema PayPal, che – salvo auspicabili interventi interpretativi formali, soprattutto di natura reddituale (che, diversamente da quanto avvenuto per i bitcoin, non ancora vengono riscontrati) – si qualifica come piattaforma on line di trasferimento di denaro, da e/o a favore dell’interessato, finalizzata in prevalenza alla transazione di beni e servizi tramite circuiti abilitati. Di fatto, opera come un conto corrente, sebbene giuridicamente non dovrebbe essere confuso con esso, non comportando obblighi, oneri o canoni, con anche la possibilità di pagare utenze, essendo associato preventivamente a un conto corrente ordinario oppure a una carta di credito. Pertanto, è da ritenere che nessuna implicazione possa sussistere circa il monitoraggio, mediante il quadro RW del modello Redditi Pf, delle disponibilità vincolate ai servizi offerti dalla piattaforma, la cui possibile “ubicazione” extraterritoriale del gestore non obbligherebbe il fruitore del servizio ai citati adempimenti.

Nonostante i dubbi interpretativi e, in virtù della contenuta entità degli importi da egli movimentati e cumulativamente assommati nel corso del periodo d’imposta, a mio parere dovrebbe, in ogni caso, ritenersi esonerato da obblighi di monitoraggio, in funzione delle franchigie alquanto significative, più sopra indicate, poste dalla norma.

E’ necessario ottenere il codice fiscale dei clienti di Amazon Marketplace?

Da parte di molti clienti, attivi nell’ambito del commercio elettronico indiretto, viene segnalata la difficoltà di reperire i codici fiscali dei clienti privati italiani nei confronti dei quali venga emessa fattura a fronte di acquisti avvenuti attraverso il passaggio a siti di operatori quali E-bay od Amazon. In questi casi il flusso delle operazioni prevede, in  modo molto sintetico, i seguenti passaggi:

1) il merchant pubblica il proprio catalogo di prodotti sul sito vetrina di Amazon marketplace (ad esempio);

2) il cliente finale che decide di acquistare un prodotto effettua il pagamento direttamente ad Amazon la quale trasmette l’ordine al merchant unitamente ai dati del cliente (nome, indirizzo, ecc..) necessari al fine di effettuare la spedizione della merce ordinata;

3) periodicamente Amazon gira le somme incassate al mercahant trattenendo le proprie commissioni che saranno oggetto di separata fatturazione ad opera della filiale lussemburghese della società americana .

Il problema evidenziato risiede nel fatto che, al momento della raccolta dell’ordine, Amazon non richiede al cliente tra i dati obbligatori il codice fiscale. Il merchant si vede così costretto a rincorrere il cliente finale che ha già perfezionato l’acquisto per richiedere tale dato necessario ai fini della corretta trasmissione all’Agenzia delle Entrate dell’elenco riepilogativo delle operazioni rilevanti ai fini IVa (c.d. spesometro).

Oltre ad aver più volte informato la stessa Amazon dell’esistenza del problema vediamo quali possono essere le possibili soluzioni.  Una prima ipotesi potrebbe essere quella di registrare gli incassi dai clienti privati nel registro dei corrispettivi in luogo dell’emissione della fattura che diventa obbligatoria solo se espressamente richiesta dal cliente. Si ricorda infatti che il commercio elettronico indiretto è assimilato, anche ai fini della disciplina Iva, al commercio per corrispondenza. Per tali fattispecie non è obbligatoria l’emissione della fattura, a meno che non sia richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, come disposto dall’art. 22, comma 1, n. 1) del D.P.R. 633/1972.

Come seconda alternativa si potrebbe valutare la possibilità di usufruire dell’esonero dalla comunicazionde per i dati relativi ad operazioni nelle quali il pagamento è avventuto mediante carte di credito, di debito o prepagate emesse da operatori finanziari soggetti all’obbligo di comunicazione previsto dall’art. 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605. Un elenco di tali operatori è contenuto nell’allegato al provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 22 dicembre 2005). Ovviamente tale soluzione implica la conoscenza della modalità di pagamento scelta dal cliente al momento dell’ordine informazione che, come sembra di capire, la stessa Amazon ha deciso di non condividere con i merchant.