L’ordinamento fiscale italiano (art. 87 T.U.I.R.) prevede, a determinate condizioni, un regime di esenzione per le plusvalenze su partecipazioni realizzate da società di capitali in presenza di determinati requisiti (c.d. participation exemption o “PEX”).
L’applicazione della PEX è subordinata ad una pluralità di requisiti. Tra questi, importanza fondamentale assume quello dell’esercizio effettivo di un’attività commerciale da parte della società le cui partecipazioni vengono cedute (“Commercialita`”).

Da sempre controversa è la possibilità di riscontrare tale requisito nel caso in cui la società ceduta abbia compiuto attività preparatorie o di start up.
L’Agenzia delle entrate, con la circolare 29 marzo 2013, n. 7/E, ha ritenuto riscontrabile tale requisito solamente laddove allo start up faccia seguito l’esercizio effettivo di un’attività commerciale. La sola attività di start up, dunque, non integra di per sè il requisito della Commercialità. In alcuni casi particolari, tuttavia, l’attività preparatoria viene considerata essa stessa espressiva di un’effettiva attività commerciale a prescindere dallo svolgimento di attività ulteriori.

Al riguardo, l’Agenzia fa riferimento, a mero titolo esemplificativo, alle concessionarie di lavori pubblici o di attività nel settore energetico. Trattandosi di indicazioni di natura esemplificativa, è ragionevole ritenere che vi siano ulteriori ipotesi in cui la Commercialità può essere riconosciuta nelle ipotesi di start up non seguita da attività operativa. Pensiamo ad esempio alle ipotesi di sfruttamento di brevetti attraverso accordi di licensing.

In questi casi il brevetto è considerato alla stregua di un prodotto che può essere “affittato o venduto” (dato in licenza o ceduto) a fronte di un riconoscimento economico. I motivi che possono spingere un’azienda a licenziare la propria tecnologia possono essere molteplici. Per esempio, è frequente il caso in cui la tecnologia è relativa a un settore al di fuori delle possibilità produttive e commerciali dell’impresa. Pensiamo a uno spin-off universitario nato sul brevetto di una nuova molecola ad uso farmaceutico: è impensabile che da solo riesca a far fronte a tutti gli investimenti necessari per portare avanti le fasi di sperimentazione clinica, validazione e registrazione della molecola. In questi casi licenziare il brevetto a una multinazionale farmaceutica potrebbe essere la soluzione migliore per permettere allo spin-off di rientrare degli investimenti fatti, ottenere ulteriori fondi da impiegare in ricerca e sviluppo, e portare sul mercato la molecola in modo veloce ed efficace.

Un altro frequente motivo che spinge un’azienda a licenziare il proprio brevetto è quello di avere entrate provenienti da settori diversi rispetto a quelli in cui opera. Questo succede quando la tecnologia brevettata trova impiego in tanti settori di applicazione e l’azienda concede ad un terzo, sempre dietro corrispettivo, una licenza settoriale in quei settori in cui non è presente.

In tutte queste ipotesi l’autonoma rilevanza delle attività di start up dovrebbe essere riconosciuta per il fatto che pur, non essendo stato avviato un processo produttivo, la società ceduta detiene una pluralità di beni (brevetti) già organizzati per l’esercizio di un’attività di impresa. In tali casi, sotto il profilo probabilistico, è da escludersi una detenzione finalizzata al mero godimento.