Licenze per software applicativo non agevolabili con il credito d’imposta beni strumentali

E’ prassi comune nelle aziende tecnologiche ricorrere all’acquisto di licenze per software applicativi che avendo durata annuale , non vengono iscritte fra le immobilizzazioni immateriali, ma rilevate come costi in conto economico e riscontate per competenza.

Ci si chiede quindi se anche per tali tipologie di costi possa applicarsi il credito d’imposta previsto per l’acquisto di beni strumentali nuovi, materiali e immateriali (articolo 1, commi da 1051 a 1063, della legge 178/2020, di Bilancio per il 2021).

Per definizione il software applicativo viene utilizzato per una determinata funzione necessaria al fruitore, a differenza dei software “di base”, che sono rappresentati dai programmi necessari per il funzionamento del computer in sé.

La contabilizzazione dell’acquisto di un software applicativo è regolata del principio contabile Oic 24. Nel caso di software applicativo acquistato in licenza d’uso dietro pagamento di un canone periodico (come nella situazione che stiamo analizzando), i canoni devono essere iscritti in conto economico alla voce B. 7 “Costi per servizi”, secondo il principio di competenza.

Altre modalità di acquisto del software (in particolare l’acquisto a titolo di proprietà e l’acquisto in licenza d’uso a tempo indeterminato) comportano invece l’iscrizione del software nello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni immateriali.

Per quanto riguarda l’applicazione del credito d’imposta beni strumentali dobbiamo invece ricordare che con la circolare 4/E/2017 (paragrafo 6.2.2), l’agenzia delle Entrate ha chiarito – seppure con riferimento alla precedente disciplina del super/iperammortamento, ma con chiarimenti applicabili anche al credito d’imposta per gli investimenti in beni
strumentali – che «i software rientrano tra gli investimenti agevolabili ancorché acquistati a titolo di licenza d’uso, sempre che iscrivibili in bilancio tra le immobilizzazioni immateriali (voce B.I.3 dello Stato patrimoniale) in applicazione di corretti principi contabili (Oic 24)».

Pertanto, per fruire del credito d’imposta occorre che il software sia acquistato con modalità tali da richiedere l’iscrizione in bilancio come immobilizzazioni immateriali, ma tra queste modalità, come visto, non rientra l’acquisto del software in licenza d’uso dietro pagamento di un canone periodico.

Tassazione dei dividendi della partecipata estera

Un caso frequente riguarda la situazione di una Srl che detiene una partecipazione totalitaria in una società di capitali estera: la società estera ha una propria struttura, produce e fattura a soggetti terzi. Il dubbio è se, in caso di distribuzione di utili, la società italiana controllante possa beneficiare della Pex (participation exemption) e tassare gli utili solo nella misura del 5% dell’importo incassato.

Per individuare la corretta modalità di tassazione, occorre preliminarmente verificare se la società residente italiana “controlla” il soggetto estero e, in seconda battuta, se questo è localizzato/residente o meno in uno Stato a regime fiscale privilegiato (cioè in un cosiddetto paradiso fiscale).

Per verificare tale secondo requisito, nel caso sussista una ipotesi di controllo, occorre effettuare un confronto tra la tassazione effettiva subita dal soggetto estero e quella “virtuale” cui sarebbe assoggettato se residente in Italia.

Una volta appurata la sussistenza della condizione di controllo da parte della società italiana e verificato che lo Stato estero di residenza della controllata non è uno Stato a fiscalità privilegiata, la norma di riferimento da applicare per la tassazione degli utili distribuiti è l’articolo 89, comma 2 del Dpr 917/86 (Tuir), il quale regola l’inclusione nel calcolo del reddito d’impresa degli utili distribuiti derivanti dalla partecipazione in società. La norma in questione assoggetta a tassazione per cassa unicamente il 5% degli «utili distribuiti», essendo previsto che tali utili «non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il 95% del loro ammontare». La regola esposta vale sia per utili di fonte italiana che per utili provenienti da società ed enti non residenti, a patto che, in questo caso, vengano rispettate le condizioni richiamate.

Marchio concesso dai soci ad una start-up: riflessi fiscali

E’ frequente l’ipotesi in cui uno o piu’ persone fisiche possedendo un marchio registrato, decidano di darlo in concessione alla società di cui sono soci. Vediamo dunque di riepilogare brevemente:

  1. come deve essere considerato, da un punto di vista fiscale, il compenso che percepiranno i soci
  2. se il canone di concessione possa essere considerato un costo interamente deducibile per la società

La risoluzione 30/E/2006 ha attribuito rilevanza impositiva, come reddito diverso, ai corrispettivi considerati, limitatamente all’esecuzione del contratto di “concessione” (e non anche di cessione) per l’utilizzo del marchio, in quanto suscettibili di essere annoverati nella più generica e residuale fattispecie giuridico–fiscale prevista dall’articolo 67, comma 1, lettera l, del Tuir (Dpr 917/1986), consistente nell’assunzione dell’obbligo di fare, non fare, permettere.

Il percettore dovrà dichiararli nel quadro RL, sezione II–A, rigo RL16, del modello Redditi persone fisiche, determinando la base imponibile al netto di tutte le eventuali spese specificamente inerenti (articolo 71,comma 2, del Tuir).

La società che sfrutta la concessione del marchio dedurrà il costo, risultante dalla capitalizzazione dei canoni previsti per tutta la durata del rapporto contrattuale, nella misura non superiore a un diciottesimo (articolo 103 del Tuir), anche se la corresponsione dei canoni avviene in forma periodica. Laddove sia convenuto il pagamento di un corrispettivo quantificato in funzione delle percentuali di vendita, è da ritenere possibile la sua intera deducibilità come costo d’esercizio.

E’ inoltre necessario assoggettare i corrispettivi, all’atto della loro erogazione, alla ritenuta d’acconto del 20 per cento (articolo 25 del Dpr 600/1973).

Non si riscontrano, infine, criticità nel fatto che i concedenti del marchio rivestano la soggettività di soci della società concessionaria.

Self publishing: tassazione a due vie

Un dubbio molto frequente riguarda il corretto inquadramento, dal punto di vista fiscale, dell’attività di self-publishing ovvero la vendita di libri (ebook e cartacei fisici) su Amazon o altre piattaforme.

In linea generale le royalty conseguite dall’autore di un libro si collocano nella categoria dei redditi (assimilati) di lavoro autonomo (articolo 53, comma 1, lettera b, del Tuir, Dpr 917/1986) qualora l’autore si limiti a cedere a terzi i diritti per lo sfruttamento economico della sua opera, attraverso la successiva fase editoriale e commerciale. Diversa è l’ipotesi in cui l’autore si occupi anche di quest’ultima attività, riguardo alla quale i proventi conseguiti si dovranno ascrivere in modo assorbente alla categoria dei redditi d’impresa (risoluzione 132/E/2004).

Nel primo caso (reddito di lavoro autonomo), la base imponibile delle royalty è ridotta forfettariamente del 25 per cento (40% nel caso in cui l’autore sia di età non superiore a 35 anni), a titolo di oneri e spese, e va dichiarata utilizzando il quadro RL del modello Redditi persone fisiche.

Nel secondo caso, i proventi costituiscono ricavi la cui tassazione è ordinariamente applicata al netto di tutti i costi inerenti, anche laddove l’attività sia esercitata in modo occasionale ex articolo 67, comma 1, lettera i, del Tuir.

Pertanto, per individuare il regime reddituale più coerente, occorre verificare la modalità e/o le condizioni contrattuali in concreto utilizzate per la “divulgazione” del libro, avvenuta nel caso specifico in forma digitale.

Concerti e live show organizzati in Italia da agenzie estere. Modalità di fatturazione

Nonostante le attuali restrizioni per il contenimento dell’emergenza sanitaria e delle ultime direttive ministeriali che confermano le limitazioni delle capienze per i concerti, il settore della musica dal vivo si sta preparando ad una graduale ripresa.

Una delle questioni fiscali rimaste in sospeso durante il periodo di sospensione delle attività riguarda il trattamento Iva delle prestazioni di organizzazione/allestimento di live show sul territorio italiano da parte di soggetti esteri.

Capita sovente infatti che un soggetto straniero (sia esso una società di management di un singolo artista, un’agenzia di booking o una semplice etichetta discografica) incarichi una società italiana di organizzare/allestire un concerto o un live show musicale in Italia al quale partecipino artisti o musicisti esteri.

Il dubbio riguarda le modalità con le quali il soggetto italiano incaricato dell’organizzazione dell’evento debba fatturare la propria prestazione al committente estero.

In questi casi la prestazione in argomento (organizzazione o allestimento di live show) può essere considerata dal punto di vista IVA, una prestazione di servizi cosiddetta generica. In base alla normativa in vigore questo tipo di prestazione, se resa da una società italiana a un soggetto di imposta stabilito in un altro Stato comunitario o extracomunitario, non si considera effettuata in Italia a norma dell’articolo 7–ter, primo comma, del Dpr 633/1972, anche se viene utilizzata nel territorio nazionale. La fattura italiana va quindi emessa senza esposizione di Iva, con l’annotazione «operazione non soggetta ex articolo 7–ter del Dpr 633/1972».

In deroga a questo criterio, se la prestazione ha per oggetto un’attività artistica/ricreativa – quale un live show musicale – i servizi connessi all’accesso a tale manifestazione in cambio di un biglietto o di un corrispettivo, nonché i servizi accessori relativi all’accesso, resi a committenti soggetti passivi, si considerano effettuati in Italia, a norma dell’articolo 7–quinquies, lettera b, del Dpr 633/1972, quando la manifestazione stessa si svolga materialmente in Italia (circolare 37/E/2011).

OnlyFans e dichiarazione guadagni

OnlyFans è una piattaforma di contenuti a pagamento (ad esempio foto, video e chat di ogni genere) che i performer condividono con i propri fan. Oltre a modelle e attori, su OnlyFans ci sono sempre più influencer, musicisti ed esperti del fitness. OnlyFans è il nome commerciale di Fenix International Limited che è una compagnia con sede a Londra in Regno Unito.

Su Onlyfans è possibile avere il proprio profilo visualizzabile dai fan sotto pagamento, in modo da “sbloccarlo”, questi soldi vanno in un portafoglio virtuale dell’account nel quale è possibile vedere la somma guadagnata e la percentuale spettante alla piattaforma che in genere è pari al 20%. Trascorso un certo periodo ed al raggiungimento di una quota di incassi i soldi presenti nel portafoglio virtuale diventano disponibili per essere trasferiti su un conto corrente tramite bonifico. E’ inoltre possibile ricevere “mance” dagli iscritti, ed inviare messaggi privati ai suddetti da sbloccare previo pagamento. tutti soldi che vanno nel portafoglio virtuale.

La tipologia contrattuale alla base del servizio è l’intermediazione con mandato all’incasso, modello presente anche in altre piattaforme (Apple Store, You Tube o la stessa Amazon). In sostanza si tratta di una duplice figura contrattuale in base alla quale il Content Creator (CC) vende i propri servizi direttamente nei confronti dei fan e dall’altro OnlyFans (OF) si limita a prestare i propri servizi di visibilità, gestione degli incassi per conto dei CC e messa a disposizione di una “vetrina” agli stessi CC. Questi servizi sono addebitati ai CC sotto forma di commissione del 20% trattenuta sul Revenue lordo.

Da questa configurazione ne deriva che ai fini Iva sarà unicamente la piattaforma ad applicare l’Iva nei confronti degli utenti della piattaforma (fan che pagano il servizio) mentre nessun obbligo di applicazione dell’Iva risulterà a carico dei CC.

Ai fini di una corretta dichiarazione in Italia nei guadagni ottenuti da OF è importante qualificare correttamente il tipo di attività economica prestata dai CC (di impresa o di lavoro autonomo). Purtroppo in questi casi non esiste una regola definita e può essere molto difficile operare una scelta univoca. Il reddito potrebbe essere qualificato come reddito di impresa se i Creator venissero considerati operatori economici organizzati, che si occupano della vendita di beni digitali (foto, video). Tuttavia sembra più corretti attribuire maggior rilevanza al contributo personale del CC che agirebbe in modo non troppo dissimile da quello di un modello/a o di un un/una performer artistico. Pertanto in questo caso il CC potrebbe essere correttamente considerato come produttore di reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del Tuir dal momento che la fonte di reddito è incentrata sulle capacità e sull’unicità della propria persona, nonchè sull’originalità del proprio lavoro (si noti che le medesime considerazioni potrebbero essere ritenute valide anche per i reddito conseguiti dall’attività su altre piattaforme ad es. Youtube o Twitch).

Conseguenze immediate di questo tipo di qualificazione (come redditi di lavoro autonomo) sono:

  • la possibilità di inquadrare tali redditi come derivanti da prestazioni occasionali purchè entro il limite di 5.000 Euro annui e a patto che si dichiarino comunque questi importi come redditi diversi nella propria dichiarazione Modello Unico o 730 eventualmente cumulati con altri redditi posseduti nell’anno;
  • al superamento della soglia di 5.000 Euro l’attività non può più essere considerata occasionale ed è necessario regolarizzarsi aprendo una posizione Iva e Inps
  • in tal caso sarà eventualmente possibile aderire al regime forfettario ovviamente nel caso in cui si rispettino i relativi requisiti (ad es. (soglia di compensi annui inferiore ai 65.000 Euro, presenza di altri redditi di lavoro non superiori ai 30.000 Euro annui, ecc..)
  • dal punto di vista Iva come detto sarà la piattaforma a gestire il rapporto diretto con l’utente (fan). Il CC dovrà limitarsi a fatturare con la propria partita IVA direttamente alla piattaforma senza applicare IVA, in reverse charge

E’ bene infine segnalare che l’art. 1, co.466, della L. n. 266/2005 e Art. 31, co.3, del D.L. 185/2008 ha introdotto la c.d. “Tassa Etica“, un’addizionale IRPEF/IRES del 25% che colpisce i redditi di alcune categorie economiche tra cui quelle che esercitano attività di produzione, distribuzione, vendita e rappresentazione di materiale pornografico. Occorre quindi valutare caso per caso se si rientra o meno nei presupposti per l’applicazione di questa maggiorazione.

Guadagni OnlyFans e Isee.

Innanzitutto in ogni caso di percezione di redditi quando si vive ancora con i propri genitori è necessario controllare le soglie che determinano il fatto di essere a carico o meno dei genitori. Nello specifico iIl reddito massimo ammesso per essere considerati a carico è:

– € 4.000,00 se si ha meno di 24 anni
– € 2.840,51 se si ha più di 24 anni.

Al superamento di queste soglie pertanto non si può più essere considerati a carico dei genitori ed è necessario presentare una dichiarazione dei redditi autonoma per dichiarare i redditi percepiti

Per quanto riguarda l’Isee invece, a prescindere dal guadagno, solitamente è necessario indicare il reddito di tutto il nucleo familiare che risulta dallo stato di famiglia. Detto in parole semplici, se si vive con i propri genitori, a prescindere da quanto si guadagna, i propri redditi vanno indicati nell’ISEE insieme a quelli di tutto il nucleo. In alternativa si può valutare se sussistono le condizioni per costituire un nucleo familiare autonomo. Per essere considerato nucleo autonomo rispetto al nucleo familiare occorre in genere rispettare alcuni requisiti (ad es. vivere in abitazione autonoma da almeno due anni, possedere un reddito minimo, ecc.). Pertanto è necessario, prima di tutto, verificare con l’ente/università per cui viene presentato l’Isee quali sono questi requisiti. A quel punto sarà possibile dichiarare nell’ISEE soltanto i propri redditi e il proprio patrimonio senza quelli del nucleo familiare di origine.