Codici EAN obbligatori su Ebay

A partire dal 2016 i codici identificativi del prodotto diverranno campi obbligatori all’interno delle inserzioni pubblicate dai venditori sul portale Ebay.

Tra gli indicatori di prodotti richiesti da Ebay figurano anche i vecchi codici EAN (European Article Number) che hanno ora assunto la denominazione GS1.

Si tratta dei codici numerici che per intenderci stanno alla base dei codici a barre e identificano in modo univoco il proprietario del marchio.

Il dubbio di molti venditori su Ebay è quello di dove reperire tali codici, se devono essere forniti dal produttore oppure debbono essere attribuiti dal venditore stesso prima di essere inseriti su Ebay.

In realtà il codice GS1 deve sempre essere richiesto dal proprietario del marchio, cioè dall’azienda il cui nome comparirà sul prodotto e che sarà responsabile verso il mercato e i consumatori della sua commercializzazione.

In linea generale l’applicazione del codice compete a chi effettivamente immette sul mercato un prodotto con il proprio nome o marchio e ne stabilisce la confezione e l’etichettatura, quindi a:

– un produttore, se fabbrica o fa fabbricare il prodotto (all’estero o in Italia) e lo commercializza sotto un marchio che gli appartiene;
– un esercente, importatore o grossista, se fa fabbricare il prodotto (in Italia o all’estero) e lo commercializza sotto un marchio che gli appartiene, oppure se trasforma il prodotto;
– un distributore, se fa fabbricare il prodotto (in Italia o all’estero) e lo commercializza sotto un marchio che gli appartiene.

E’ bene ricordare infine che Ebay richiede l’inserimento dei codici identificativi di prodotto solo per alcune categorie di prodotti tra cui abbigliamento e accessori, arredamento , elettrodomestici, giocattoli, prodotti di telefonia, audio, video, informatica, ecc..).

 

Obblighi informativi per i venditori on-line: la garanzia legale

La recente sentenza n. 5253 del Consiglio di Stato torna su un tema particolarmente delicato nelle vendite on line ovvero l’informativa sui diritti del consumatore. La sentenza di cui parliamo ha condannato Apple per pratiche commerciali scorrette in violazione degli obblighi informativi contenuti nel D.Lgs. 206/2005 (“Codice del Consumo”). In particolare Apple è stata condannata per non aver informato adeguatamente i consumatori circa i diritti di assistenza gratuita biennale loro spettanti per legge, e nel non riconoscere loro i detti diritti limitandosi invece a riconoscere la garanzia convenzionale offerta gratuitamente dal produttore per il solo primo anno ( a fronte della durata biennale della garanzia legale).

Inoltre, le informazioni fornite in merito alla natura, al contenuto e alla durata di tale garanzia convenzionale e dei servizi di assistenza aggiuntivi ivi previsti, offerti ai consumatori in occasione dell’acquisto di un bene di consumo, non chiarivano adeguatamente il diritto dei consumatori alla garanzia biennale di conformità da parte del venditore, così da indurli ad attivare un nuovo rapporto contrattuale, a titolo oneroso, il cui contenuto risultava in parte sovrapporsi ai diritti già spettanti in forza della garanzia legale, che non prevede addebito di costi o limitazioni.

Ricordiamo a tal proposito che l’art. 130 del d.lgs.. n. 206 del 2005 prevede che “Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene” e che “in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione (…), ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto (…)”.
L’art. 132 stabilisce, inoltre, che “il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene“, con onere per il consumatore, a pena di decadenza dal diritto, di denunciare il difetto di conformità entro due mesi dalla data di scoperta del difetto, precisando, altresì ( comma 3) che “salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura  del bene o con la natura del difetto di conformità“.

Sempre il Codice del Consumo prevede che dell’esistenza della garanzia legale deve essere fornita al consumatore chiara e completa informativa.

Considerando che le sanzioni inflitte ad Apple in sede di contestazione della violazione degli obblighi informativi sono risultate complessivamente pari a 180.000,00 Euro è quantomeno doveroso accertarsi di aver adempiuto con correttezza a tali obblighi informativi nel proprio sito di vendite on-line.

Vendite attraverso Amazon Marketplace: quando registrare i corrispettivi?

Diverse incertezze e difficoltà caratterizzano l’attività dei merchant nei rapporti con Amazon, canale di vendita privilegiato nelle cessioni di beni a clienti consumatori finali.

Il funzionamento di questa piattaforma è ormai noto. Il merchant pubblica i suoi prodotti sul sito di Amazon decidendo autonamente quantità e prezzi a cui metterli in vendita.

Il cliente effettua l’ordine sul sito di Amazon il quale lo trasmette al merchant che provvede alla spedizione del prodotto.

Il corrispettivo della vendita viene pagato dal cliente direttamente ad Amazon che provvede successivamente a bonificarlo sul conto del merchant trattenendosi la percentuale sulla commissione.

Ricordiamo a questo proposito che il momento in cui registrare l’incasso nelle vendite on-line è individuato, dall’art. 6 del DPR 633/1972, nel momento della consegna o spedizione della merce al cliente.Tuttavia il comma 4 del medesimo articolo specifica che se il pagamento del corrispettivo avviene in un momento precedente rispetto alla consegna del bene, l’operazione si considera effettuata (e dunque il corrispettivo va registrato) alla data del pagamento.

E’ bene dunque sottolineare che il momento del pagamento deve essere precedente alla spedizione (è il caso ad esempio in cui il merchant, vendendo direttamente dal proprio sito, riceve un ordine e il contestuale pagamento ad esempio attraverso la carta di credito del cliente).

Se invece, come nel caso di Amazon, l’incasso materiale del corrispettivo della vendita avviene in un momento successivo (ovvero allorchè Amazon accrediterà le somme sul conto del venditore) farà fede la data di spedizione della merce.

Un esempio aiuterà a chiarire la differenza tra i due casi

Primo caso:

– Ordine ricevuto attravero Amazon Marketplace in data 20 settembre

– il merchant affida la merce al corriere in data 22 settembre

– in data 1° ottobre Amazon accredita il corrispettivo netto sul conto del venditore

Il venditore deve registrare il corrispettivo in data 22 settembre.

Secondo caso:

– ordine ricevuto dal proprio sito in data 20 settembre con contestuale pagamento da parte del cliente attraverso carta di credito

– il merchant affida la merce al corriere in data 22 settembre

Il venditore deve registrare il corrispettivo in data 20 settembre.

Regime forfettario e vendita on-line di oggetti di antiquariato

Un dubbio frequente è se il nuovo regime forfettario per i piccoli contribuenti, introdotto dalla Legge di Stabilità del 2015, possa essere applicato alle vendite on line di particolari tipi di beni tra cui oggetti di antiquariato e beni usati in generale. Il dubbio nasce dalla duplice circostanza che:

– per le vendite (on-line ma anche off-line) di tali tipologie di beni è previsto un regime Iva speciale, chiamato regime del margine;

– l’adozione di tale regime del margine è incompatibile con il nuovo regime forfettario per i piccoli contribuenti.

Tuttavia, attenendosi al tenore letterale della norma, è possibile concludere che l’incompatibilità con il regime forfettario sussiste solo nel caso in cui venga in concreto applicato il regime del margine. La norma afferma che “sono esclusi dal regime …. coloro che si avvalgono di regimi speciali di determinazione dell’imposta sul valore aggiunto” (tra cui il regime del margine).

D’altra parte l’adozione del regime margine deve ritenersi facoltativa (in questo senso si è espressa l’Agenzia delle entrate in diverse risoluzione ad es. la n. 73 del 2007).

Pertanto è escluso dal regime forfettario chi adotta un regime speciale Iva, mentre chi esercita un’attività per la quale è previsto un regime speciale Iva (come ad esempio il commercio on-line di beni usati o di oggetti di antiquariato) ma non se ne avvale, potrà certamente applicare il regime forfettario.

 

Dazi doganali all’importazione: le franchigie

La Legge europea 2014, pubblicata ieri sulla Gazzetta Ufficiale, ha stabilito che le spese di trasporto sulle importazioni di merci di valore trascurabile non saranno più assoggettate a Iva e a dazi doganali.

Le importazioni di beni di modico valore sono esenti da prelievi doganali sia in termini di Iva che di dazi doganali. Vediamo quali sono le franchigie attualmente esistenti:

– per quanto riguarda i dazi doganali attualmente è previsto che questi non vengano applicati sulle importazioni di merci di valore intrinseco complessivamente nei limiti di 22 euro per singola spedizione, con esclusione dei prodotti alcolici, dei profumi e l’acqua da toletta e dei tabacchi  (l’art. 5 D.M. 5.12.1997, n. 489). Da notare che il regolamento 16 novembre 2009, n. 1186/2009 ha innalzato questa franchigia che risulta attualmente pari ad 150 Euro per singola spedizione;

– ai fini Iva invece la franchigia è rimasta pari a 22 Euro

Quindi su una importazione di valore pari, ad esempio, a 140 Euro si pagherà l’Iva ma non i dazi doganali.

Come accennato la legge comunitaria prevede che quando si applica la franchigia per le piccole spedizioni di carattere non commerciale e per le spedizioni di valore trascurabile, sono sempre esenti da Iva e/o da dazi anche i relativi servizi accessori (ad esempio, il servizio di trasporto), indipendentemente dal loro ammontare.

E’ bene notare che questo intervento normativo non modifica quindi in alcun modo l’entità della franchigia Iva che rimane dunque pari a 22 Euro.

 

E-commerce e triangolazioni: analisi di un caso

Fra le possibili combinazioni di operazioni e-commerce transfrontaliere analizziamo il seguente caso:

Operatore e-commerce nazionale (ITA) che acquista merce da una fornitore extracomunitario (diciamo cinese) e vende on line a clienti residenti in un altro stato UE (ad esempio Germania) facendo consegnare la merce direttamente dal fornitore cinese.

I soggetti coinvolti sono dunque:

– il fornitore cinese (CHI)

– l’operatore italiano (ITA)

– il cliente tedesco (GER) che può a sua volta essere un’impresa (B2B) oppure un consumatore finale (B2C)

In linea di massima le regole sono valide anche sostituendo la Cina con un altro paese al di fuori dall’Unione Europea ovvero sostituendo Italia e Germania con altri due paesi entrambi appartenenti all’Unione Europea.

Ricordo che stiamo sempre parlando di operazioni di commercio elettronico indiretto, dove la transazione si chiude on line, ma riguarda la vendita di beni “fisici”, non digitali.

Tornando al caso in questione supponiamo inizialmente, per semplicità, che lo sdoganamento della merce importata dalla Cina avvenga in Italia. In tale ipotesi ITA può avvalersi della facoltà di pagare unicamente i dazi doganali senza applicazione dell’Iva se i beni proseguono per altri Stati UE (art. 67. co. 1, lett. b) DPR 633/72), questo a condizione che GER abbia una partita Iva in Italia o nomini un rappresentante fiscale (vd la circolare 120/D del 17.4.1993).

Con la partita Iva italiana GER emetterà una fattura intracomunitaria a carico della partita iva tedesca per il trasferimento dei beni e provvederà a registrare e ad integrare questa fattura, assolvendo l’iva nel suo paese.

Dal canto suo ITA riceverà la fattura da CHI senza doverla integrare nè assolvere l’Iva in quanto trattasi di operazione extracomunitaria. La successiva fattura emessa nei confronti di GER sarà emessa senza Iva in quanto trattasi di operazione extraterritoriale ai sensi dell’art. 7-bis DPR 633/72.

(se lo sdoganamento avvenisse in Germania, iva e dazi doganali sarebbero interamente a carico di GER).

Nell’ipotesi in cui invece il cliente finale tedesco GER fosse un privato consumatore anzichè un soggetto munito di partita IVA vi sarebbero due importanti differenze:

1) nel caso di sdogaanemento in Italia ITA non potrebbe avvalersi della facoltà di non pagare l’IVA anche se i beni proseguono per un altro stato UE

2) ITA deve applicare l’iva italiana o, al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 34 della Direttiva 2006/112/CE, l’iva dello stato membro di destinazione.

Nella sotto-ipotesi infine in cui lo sdoganamento avvenisse in Germania, GER privato consumatore dovrebbe farsi carico di iva e dazi doganali all’importazione ma ITA potrebbe fatturare senza applicazione dell’iva in quanto la merce si trova già in Germania.