VAT semplification on digital services

The EU Directive 2017/2455, approved by the European Council on 5 December 2017, modifies the Directive 2006/112 / EC on VAT, introducing a series of simplifications concerning, on the one hand, the provision of telecommunications services, radio and television broadcasting on the other hand, the distance sales of goods, with a deferred date, respectively, from 1 January 2019 and 1 January 2021.

With specific reference to the news regarding the provision of telecommunications, broadcasting and electronic services, with effect from 1 January 2019, the Directive 2017/2455 / EU modifies the regulation of digital services carried out through the MOSS system (Mini One Stop Shop), introducing the following news:

– introduction of the annual threshold of € 10,000.00 below which these services remain taxable in the lender’s Member State of establishment;
– the rules governing the invoicing and retention of documentation relating to the provision of telecommunications, broadcasting and electronic services are those applicable in the Member State of identification of the provider using the MOSS system;
– extension of the MOSS also to taxable persons providing telecommunications, broadcasting and electronic services, if they are not established in the EU, but registered for VAT purposes in a member country;
– deferral of the deadline for submitting the quarterly declaration for the provision of telecommunications, broadcasting and electronic services, from day 20 to day 30 of the month following the reference quarter;
– faculty of the member countries to independently establish the period of conservation of the documentation related to the operations carried out using the MOSS, which therefore will no longer be the actual one equal to 10 years.

As shown in the preamble to Directive 2017/2455 / EU, the evaluation of the special regimes applicable to digital services has identified a number of areas that can be improved:

– Firstly, the need to reduce the burden on micro-enterprises established in a Member State that occasionally provide electronic services in other Member States in order to comply with VAT obligations in Member States other than that one of establishment justifies the introduction of a threshold , € 10,000.00, below which these services remain taxable in the member country of establishment;
– secondly, given that the obligation to comply with the billing and documentation requirements of all the Member States in which supplies of goods or services are made is very burdensome, in order to minimize the burden charged to the companies, it is provided that the rules for invoicing and storage of the documentation are those applicable in the Member State of identification of the seller / provider who apply the special regime;
– thirdly, the taxable persons who provide digital services, if they are not established in the EU but registered for VAT purposes in a Member State (for example because they carry out occasional transactions subject to VAT in that country), can not make use of the special regime for taxable persons not established in the EU, nor for the special regime for taxable persons established in the EU. As a result, it is now willing that such persons are authorized to make use of the special regime for taxable persons not established in the Union;
– fourthly, the assessment of the special schemes for the taxation of digital services, launched on 1 January 2015, has shown that the obligation to present the VAT declaration presupposes an excessively short deadline, ie 20 days from the end of the reference period, in particular, with regard to the services provided through a telecommunications network, an interface or a portal, if the services provided via this network, interface or portal, are presumed to be provided by the network operator, interface or portal, who is required to obtain the information from each individual service provider to complete the VAT declaration. The evaluation also highlighted that the obligation to make corrections to the VAT declaration is very burdensome for the taxable persons, as it may involve the need to resubmit various declarations every quarter. Consequently, the deadline within which the declaration must be presented is extended from day 20 to day 30 from the end of the reference quarter, with the possibility for taxable persons to correct previous declarations by means of a subsequent declaration, rather than in the declarations of the tax periods to which the corrections refer;
– fifth and last, the conservation period of documentation for the non-EU regime and the EU regime is expected to be the period defined by the Member State of identification of the taxable person, rather than the current 10-year period, which exceeds widely the requirements regarding the conservation of documentation in most of the member countries.

Registrazione ai fini Iva nel Regno Unito (UK) per vendite su Amazon

In questi giorni parecchi negozianti stanno ricevendo un avviso da Amazon secondo cui potrebbe essere necessaria l’apertura di una posizione Iva nel Regno Unito per non vedersi bloccato l’account.

Tale circostanza è frutto di una recente modifica normativa entrata in vigore nel Regno Unito in base alla quale i portali e-commerce (tra cui Amazon) sarebbero solidalmente responsabili nei confronti del fisco inglese per l’eventuale Iva non versata dai loro utenti (negozianti) nelle casse dell’erario britannico.

Si tratta quindi di stabilire a quali condizioni un venditore straniero si trovi obbligato ad aprire una posizione Iva. La materia è tuttora regolata dalla Direttiva Comunitaria e non è stata oggetto di interventi da parte della recente Legge di Bilancio inglese.

Attualmente dunque un’azienda italiana che vende su Amazon deve obbligatoriamente aprire una posizione Iva nel Regno Unito solo se:

– possiede un punto di stoccaggio della merce nel territorio del Regno Unito (inclusi i magazzini del servizio di Amazon storage) oppure

– vende a clienti privati residenti nel territorio inglese e, contemporaneamente

– registra un ammontare di vendite, verso clienti privati residenti nel territorio inglese, per un ammontare superiore alla soglia di £ 70.000,00

 E’ dunque evidente che l’obbligo di registrazione scatta al superamento della soglia di vendite sopra richiamata nei confronti di clienti privati residenti nel paese straniero oppure nel caso in cui la merce oggetto di vendita venga stoccata in magazzini presenti nello stesso stato (ad esempio quelli forniti da Amazon). In questa seconda ipotesi infatti la merce, trovandosi già nel territorio inglese, non subisce alcun transito intracomunitario e la sua cessione va dunque assoggettata ad Iva in quel paese.

Nel caso di stoccaggio della merce in UK diventa dunque necessario aprire una posizione IVA (VAT number) nel Regno Unito indipendentemente dal superamento della soglia di £ 70.000,00.

Iperammortamento anche per i software di supporto all’e-commerce

L’incentivo per i software Industria 4.0 – così come l’iperammortamento – viene esteso al 2019. Il comma 31 della legge 205/2017, legge di Bilancio 2018, allunga il periodo entro il quale le imprese che effettuano investimenti iperammortizzabili possono usufruire della maggiorazione del 40% per gli investimenti in taluni software. La legge estende inoltre l’ambito oggettivo della agevolazione modificando l’allegato B) alla legge 232/2016, legge di Bilancio 2017.

I soggetti che effettuano investimenti iperammortizzabili possono fruire di una ulteriore deduzione del 40% per gli acquisti di beni immateriali inclusi nella tabella B allegata alla legge 232/2016 (in genere software, sistemi e system integration, piattaforme e applicazioni). La circolare 4/ E/2017 ha precisato che l’unica  condizione per fruire di questo superammortamento dei beni immateriali è che il soggetto abbia effettuato almeno un investimento con iperammortamento del 150 per cento. L’agevolazione spetta pertanto anche se si tratta di beni immateriali non correlati al funzionamento dello specifico cespite materiale oggetto di iperammortamento.

Il comma 32 della legge 205/2017 amplia la definizione di beni immateriali agevolabili modificando il contenuto della tabella B allegata alla legge 232/2016. A partire dal 1° gennaio 2018, tra i beni agevolabili sono compresi anche i seguenti: sistemi di gestione della supply chain finalizzata al drop shipping nell’e-commerce; software e servizi digitali per la fruizione immersiva, interattiva e partecipativa, ricostruzioni 3D, realtà aumentata;  software, piattaforme e applicazioni per la gestione e il coordinamento della logistica con elevate caratteristiche di integrazione delle attività di servizio (comunicazione intra-fabbrica, fabbrica-campo con integrazione telematica dei dispositivi onfield e dei dispositivi mobili, rilevazione telematica di prestazioni e guasti dei dispositivi on-field).

Normativa e-commerce Ue: le riforme in fase in studio

Tra i numerosi lavori che la commissione Ue sta conducendo ve ne sono alcune che impattano direttamente sulle attività di e-commerce e sui relativi aspetti fiscali. Uno dei temi principali è quello dell’applicazione delle aliquote Iva ridotte sui prodotti editoriali. Sul punto sembra che la commmissione sia intenzionate a consentire ai singoli Stati di applicare aliquote Iva ridotte anche alle pubblicazioni on-line e non solo ai libri e giornali cartacei. La questione è molto sentita in alcuni Paesi e in particolare in Italia. Il governo Renzi decise nel 2014 di tassare al 4% i libri elettronici, nonostante il rischio di una procedura di infrazione comunitaria. Attualmente, le pubblicazioni online hanno una quota del mercato Ue del 5%, che dovrebbe salire al 20% entro il 2021.
Un ulteriore tavolo di lavoro riguarda la riforma della raccolta dell’Iva nel commercio online. Attualmente le regole impongono alle società di registrarsi in tutti Paesi Ue per versare l’imposta nel Paese di destinazione del prodotto. La procedura di registrazione però ha costi molto elevati e l’esecutivo comunitario è convinto che ciò induca molte aziende a frodare l’Iva, provocando un mancato gettito stimato in 5 miliardi di euro all’anno.
La riforma, presentata sotto forma di direttiva che dovrà essere approvata dal Consiglio e dal Parlamento, prevede che la società si registri nel proprio Paese e lì versi l’Iva. Le autorità nazionali dovranno poi riversare il denaro a seconda dello Stato membro di destinazione. Già avviene così per la vendita di servizi su Internet. Il tentativo, naturalmente, è di promuovere il più possibile il commercio online.
Infine una ulteriore proposta riguarda l’eliminazione del prezzo minimo di applicazione dell’Iva per la merce proveniente da Paesi terzi. Oggi la merce con un valore inferiore a 22 euro non viene tassata. Il risultato è che la norma è oggetto di frodi e abusi: 150 milioni di pacchetti arrivano ogni anno in Europa chiedendo l’esenzione dell’Iva. Se la frode viene scoperta, il pagamento della tassa spetta all’acquirente. Bruxelles vuole eliminare l’esenzione, tassando così tutti i beni provenienti dall’estero.
Sempre per promuovere il commercio online, i Ventotto hanno approvato ieri il regolamento che vieta il geoblocking, la possibilità per le imprese di bloccare l’accesso al proprio sito per i consumatori all’estero. Il pacchetto passa ora al Parlamento. L’obiettivo è eliminare discriminazioni basate su nazionalità o residenza. Il venditore potrà applicare prezzi diversi a seconda dell’acquirente, ma senza discriminare. Le condizioni di vendita saranno quelle del luogo del consumatore.

Tra i numerosi lavori che la commissione Ue sta conducendo ve ne sono alcune che impattano direttamente sulle attività di e-commerce e sui relativi aspetti fiscali. Uno dei temi principali è quello dell’applicazione delle aliquote Iva ridotte sui prodotti editoriali. Sul punto sembra che la commmissione sia intenzionate a consentire ai singoli Stati di applicare aliquote Iva ridotte anche alle pubblicazioni on-line e non solo ai libri e giornali cartacei. La questione è molto sentita in alcuni Paesi e in particolare in Italia. Il governo Renzi decise nel 2014 di tassare al 4% i libri elettronici, nonostante il rischio di una procedura di infrazione comunitaria. Attualmente, le pubblicazioni online hanno una quota del mercato Ue del 5%, che dovrebbe salire al 20% entro il 2021.
Un ulteriore tavolo di lavoro riguarda la riforma della raccolta dell’Iva nel commercio online. Attualmente le regole impongono alle società di registrarsi in tutti Paesi Ue per versare l’imposta nel Paese di destinazione del prodotto. La procedura di registrazione però ha costi molto elevati e l’esecutivo comunitario è convinto che ciò induca molte aziende a frodare l’Iva, provocando un mancato gettito stimato in 5 miliardi di euro all’anno.
La riforma, presentata sotto forma di direttiva che dovrà essere approvata dal Consiglio e dal Parlamento, prevede che la società si registri nel proprio Paese e lì versi l’Iva. Le autorità nazionali dovranno poi riversare il denaro a seconda dello Stato membro di destinazione. Già avviene così per la vendita di servizi su Internet. Il tentativo, naturalmente, è di promuovere il più possibile il commercio online.
Infine una ulteriore proposta riguarda l’eliminazione del prezzo minimo di applicazione dell’Iva per la merce proveniente da Paesi terzi. Oggi la merce con un valore inferiore a 22 euro non viene tassata. Il risultato è che la norma è oggetto di frodi e abusi: 150 milioni di pacchetti arrivano ogni anno in Europa chiedendo l’esenzione dell’Iva. Se la frode viene scoperta, il pagamento della tassa spetta all’acquirente. Bruxelles vuole eliminare l’esenzione, tassando così tutti i beni provenienti dall’estero.
Sempre per promuovere il commercio online, i Ventotto hanno approvato ieri il regolamento che vieta il geoblocking, la possibilità per le imprese di bloccare l’accesso al proprio sito per i consumatori all’estero. Il pacchetto passa ora al Parlamento. L’obiettivo è eliminare discriminazioni basate su nazionalità o residenza. Il venditore potrà applicare prezzi diversi a seconda dell’acquirente, ma senza discriminare. Le condizioni di vendita saranno quelle del luogo del consumatore.

Nuove ipotesi di reverse charge per il commercio B2B di computer e microprocessori

Il meccanismo del reverse charge, nato per contrastare le frodi Iva, prevede un particolare tipo di contabilizzazione in base al quale, per determinati tipi di operazione B2B, l’IVA viene posta non a carico dell’impresa cedente (come normalmente avviene) bensì dell’impresa acquirente. I limiti entro cui i singoli Stati Membri possono imporre l’utilizzo di questo tipo di meccanismo sono rigidamente fissati da alcune direttive Europee (Direttiva 2013/42/Ue e 2013/43/Ue).

Nell’ambito dei suddetti limiti lo Stato italiano ha quindi deciso di ampliare, con un decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri di ieri, l’ambito applicativo del reverse charge istituendo nuove ipotesi che si affiancano a quelle già previste dall’art. 17, comma 6 del DPR 633/72 (decreto IVA).

Nel dettaglio per quanto qui interessa, i provvedimenti più rilevanti sono due:

1) viene limitata l’operatività del reverse charge nell’ambito dei telefoni cellulari eliminando l’obbligo con riferimento ai loro componenti e accessori

2) vengono estese le ipotesi collegate all’informatica. Più in dettaglio il meccanismo del reverse charge si applicherà alle cessioni di console da gioco, tablet, Pc e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale.

Le nuove ipotesi diverranno operative solo dopo 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto in questione.

Si ricorda infine che, alla luce della direttiva 2013/42/Ue, le ipotesi previste dalle lettere b (telefoni cellulari) dell’articolo 17, comma 6 del Dpr 633/72 saranno efficaci in modo temporaneo e in riferimento solo alle operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2018.

NEWS DEL 4/3/2016: il Dlg. 24/2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri. Le nuove ipotesi di reverse charge si rendono dunque operative a partire dal 2 maggio 2016 (sessantesimo giorno dall’entrata in vigore).