Costituzione di start-up innovative senza notaio

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico con cui viene prevista la possibilità di costituire start-up innovative senza l’intervento del notaio.

La procedura prevede l’adozione di un modello di atto costitutivo standard che deve essere firmato digitalmente da tutti i soci e depositato presso il registro delle imprese entro 20 giorni dall’ultima sottoscrizione.

La procedura è limitata alla società a responsabilità limitata, anche unipersonali, non semplificate e che richiedano contestualmente all’iscrizione anche l’annotazione nel registro delle start-up innovative possedendone, ovviamente, tutti i requisiti.

Non è chiaro se l’adozione di un modello standard di statuto renda impossibile ogni successiva modifica dello stesso come avviene attualmente per le srl semplificate. In ogni caso se una modifica fosse possibile sarebbe presumibilmente necessario l’intervento del notaio come ricorda l’art. 4 del decreto.

Il modello standard di atto costituivo è scaricabile qui.

 

 

Nuove ipotesi di reverse charge per il commercio B2B di computer e microprocessori

Il meccanismo del reverse charge, nato per contrastare le frodi Iva, prevede un particolare tipo di contabilizzazione in base al quale, per determinati tipi di operazione B2B, l’IVA viene posta non a carico dell’impresa cedente (come normalmente avviene) bensì dell’impresa acquirente. I limiti entro cui i singoli Stati Membri possono imporre l’utilizzo di questo tipo di meccanismo sono rigidamente fissati da alcune direttive Europee (Direttiva 2013/42/Ue e 2013/43/Ue).

Nell’ambito dei suddetti limiti lo Stato italiano ha quindi deciso di ampliare, con un decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri di ieri, l’ambito applicativo del reverse charge istituendo nuove ipotesi che si affiancano a quelle già previste dall’art. 17, comma 6 del DPR 633/72 (decreto IVA).

Nel dettaglio per quanto qui interessa, i provvedimenti più rilevanti sono due:

1) viene limitata l’operatività del reverse charge nell’ambito dei telefoni cellulari eliminando l’obbligo con riferimento ai loro componenti e accessori

2) vengono estese le ipotesi collegate all’informatica. Più in dettaglio il meccanismo del reverse charge si applicherà alle cessioni di console da gioco, tablet, Pc e laptop, nonché alle cessioni di dispositivi a circuito integrato, quali microprocessori e unità centrali di elaborazione effettuate prima della loro installazione in prodotti destinati al consumatore finale.

Le nuove ipotesi diverranno operative solo dopo 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto in questione.

Si ricorda infine che, alla luce della direttiva 2013/42/Ue, le ipotesi previste dalle lettere b (telefoni cellulari) dell’articolo 17, comma 6 del Dpr 633/72 saranno efficaci in modo temporaneo e in riferimento solo alle operazioni effettuate fino al 31 dicembre 2018.

NEWS DEL 4/3/2016: il Dlg. 24/2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri. Le nuove ipotesi di reverse charge si rendono dunque operative a partire dal 2 maggio 2016 (sessantesimo giorno dall’entrata in vigore).

Codici EAN obbligatori su Ebay

A partire dal 2016 i codici identificativi del prodotto diverranno campi obbligatori all’interno delle inserzioni pubblicate dai venditori sul portale Ebay.

Tra gli indicatori di prodotti richiesti da Ebay figurano anche i vecchi codici EAN (European Article Number) che hanno ora assunto la denominazione GS1.

Si tratta dei codici numerici che per intenderci stanno alla base dei codici a barre e identificano in modo univoco il proprietario del marchio.

Il dubbio di molti venditori su Ebay è quello di dove reperire tali codici, se devono essere forniti dal produttore oppure debbono essere attribuiti dal venditore stesso prima di essere inseriti su Ebay.

In realtà il codice GS1 deve sempre essere richiesto dal proprietario del marchio, cioè dall’azienda il cui nome comparirà sul prodotto e che sarà responsabile verso il mercato e i consumatori della sua commercializzazione.

In linea generale l’applicazione del codice compete a chi effettivamente immette sul mercato un prodotto con il proprio nome o marchio e ne stabilisce la confezione e l’etichettatura, quindi a:

– un produttore, se fabbrica o fa fabbricare il prodotto (all’estero o in Italia) e lo commercializza sotto un marchio che gli appartiene;
– un esercente, importatore o grossista, se fa fabbricare il prodotto (in Italia o all’estero) e lo commercializza sotto un marchio che gli appartiene, oppure se trasforma il prodotto;
– un distributore, se fa fabbricare il prodotto (in Italia o all’estero) e lo commercializza sotto un marchio che gli appartiene.

E’ bene ricordare infine che Ebay richiede l’inserimento dei codici identificativi di prodotto solo per alcune categorie di prodotti tra cui abbigliamento e accessori, arredamento , elettrodomestici, giocattoli, prodotti di telefonia, audio, video, informatica, ecc..).

 

Obblighi informativi per i venditori on-line: la garanzia legale

La recente sentenza n. 5253 del Consiglio di Stato torna su un tema particolarmente delicato nelle vendite on line ovvero l’informativa sui diritti del consumatore. La sentenza di cui parliamo ha condannato Apple per pratiche commerciali scorrette in violazione degli obblighi informativi contenuti nel D.Lgs. 206/2005 (“Codice del Consumo”). In particolare Apple è stata condannata per non aver informato adeguatamente i consumatori circa i diritti di assistenza gratuita biennale loro spettanti per legge, e nel non riconoscere loro i detti diritti limitandosi invece a riconoscere la garanzia convenzionale offerta gratuitamente dal produttore per il solo primo anno ( a fronte della durata biennale della garanzia legale).

Inoltre, le informazioni fornite in merito alla natura, al contenuto e alla durata di tale garanzia convenzionale e dei servizi di assistenza aggiuntivi ivi previsti, offerti ai consumatori in occasione dell’acquisto di un bene di consumo, non chiarivano adeguatamente il diritto dei consumatori alla garanzia biennale di conformità da parte del venditore, così da indurli ad attivare un nuovo rapporto contrattuale, a titolo oneroso, il cui contenuto risultava in parte sovrapporsi ai diritti già spettanti in forza della garanzia legale, che non prevede addebito di costi o limitazioni.

Ricordiamo a tal proposito che l’art. 130 del d.lgs.. n. 206 del 2005 prevede che “Il venditore è responsabile nei confronti del consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene” e che “in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione (…), ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto (…)”.
L’art. 132 stabilisce, inoltre, che “il venditore è responsabile, a norma dell’articolo 130, quando il difetto di conformità si manifesta entro il termine di due anni dalla consegna del bene“, con onere per il consumatore, a pena di decadenza dal diritto, di denunciare il difetto di conformità entro due mesi dalla data di scoperta del difetto, precisando, altresì ( comma 3) che “salvo prova contraria, si presume che i difetti di conformità che si manifestano entro sei mesi dalla consegna del bene esistessero già a tale data, a meno che tale ipotesi sia incompatibile con la natura  del bene o con la natura del difetto di conformità“.

Sempre il Codice del Consumo prevede che dell’esistenza della garanzia legale deve essere fornita al consumatore chiara e completa informativa.

Considerando che le sanzioni inflitte ad Apple in sede di contestazione della violazione degli obblighi informativi sono risultate complessivamente pari a 180.000,00 Euro è quantomeno doveroso accertarsi di aver adempiuto con correttezza a tali obblighi informativi nel proprio sito di vendite on-line.

Vendite attraverso Amazon Marketplace: quando registrare i corrispettivi?

Diverse incertezze e difficoltà caratterizzano l’attività dei merchant nei rapporti con Amazon, canale di vendita privilegiato nelle cessioni di beni a clienti consumatori finali.

Il funzionamento di questa piattaforma è ormai noto. Il merchant pubblica i suoi prodotti sul sito di Amazon decidendo autonamente quantità e prezzi a cui metterli in vendita.

Il cliente effettua l’ordine sul sito di Amazon il quale lo trasmette al merchant che provvede alla spedizione del prodotto.

Il corrispettivo della vendita viene pagato dal cliente direttamente ad Amazon che provvede successivamente a bonificarlo sul conto del merchant trattenendosi la percentuale sulla commissione.

Ricordiamo a questo proposito che il momento in cui registrare l’incasso nelle vendite on-line è individuato, dall’art. 6 del DPR 633/1972, nel momento della consegna o spedizione della merce al cliente.Tuttavia il comma 4 del medesimo articolo specifica che se il pagamento del corrispettivo avviene in un momento precedente rispetto alla consegna del bene, l’operazione si considera effettuata (e dunque il corrispettivo va registrato) alla data del pagamento.

E’ bene dunque sottolineare che il momento del pagamento deve essere precedente alla spedizione (è il caso ad esempio in cui il merchant, vendendo direttamente dal proprio sito, riceve un ordine e il contestuale pagamento ad esempio attraverso la carta di credito del cliente).

Se invece, come nel caso di Amazon, l’incasso materiale del corrispettivo della vendita avviene in un momento successivo (ovvero allorchè Amazon accrediterà le somme sul conto del venditore) farà fede la data di spedizione della merce.

Un esempio aiuterà a chiarire la differenza tra i due casi

Primo caso:

– Ordine ricevuto attravero Amazon Marketplace in data 20 settembre

– il merchant affida la merce al corriere in data 22 settembre

– in data 1° ottobre Amazon accredita il corrispettivo netto sul conto del venditore

Il venditore deve registrare il corrispettivo in data 22 settembre.

Secondo caso:

– ordine ricevuto dal proprio sito in data 20 settembre con contestuale pagamento da parte del cliente attraverso carta di credito

– il merchant affida la merce al corriere in data 22 settembre

Il venditore deve registrare il corrispettivo in data 20 settembre.

Regime forfettario e vendita on-line di oggetti di antiquariato

Un dubbio frequente è se il nuovo regime forfettario per i piccoli contribuenti, introdotto dalla Legge di Stabilità del 2015, possa essere applicato alle vendite on line di particolari tipi di beni tra cui oggetti di antiquariato e beni usati in generale. Il dubbio nasce dalla duplice circostanza che:

– per le vendite (on-line ma anche off-line) di tali tipologie di beni è previsto un regime Iva speciale, chiamato regime del margine;

– l’adozione di tale regime del margine è incompatibile con il nuovo regime forfettario per i piccoli contribuenti.

Tuttavia, attenendosi al tenore letterale della norma, è possibile concludere che l’incompatibilità con il regime forfettario sussiste solo nel caso in cui venga in concreto applicato il regime del margine. La norma afferma che “sono esclusi dal regime …. coloro che si avvalgono di regimi speciali di determinazione dell’imposta sul valore aggiunto” (tra cui il regime del margine).

D’altra parte l’adozione del regime margine deve ritenersi facoltativa (in questo senso si è espressa l’Agenzia delle entrate in diverse risoluzione ad es. la n. 73 del 2007).

Pertanto è escluso dal regime forfettario chi adotta un regime speciale Iva, mentre chi esercita un’attività per la quale è previsto un regime speciale Iva (come ad esempio il commercio on-line di beni usati o di oggetti di antiquariato) ma non se ne avvale, potrà certamente applicare il regime forfettario.