Gestione affitti brevi: le regole di Airbnb

La necessità di una maggiore regolamentazione all’home-sharing è stata un’esigenza sollevata di recente da più paesi, tra cui anche l’Italia (i parlamentari
italiani avevano suggerito l’introduzione di una cedolare secca al 21% e la creazione di un registro ad hoc dedicato agli «ospiti», proposta poi non passata).

A questi problemi prova a dare una soluzione la stessa Airbnb detentrice del principale portale di affitti-brevi formulando delle indicazioni di «buone pratiche» quindi non delle vere e proprie norme.

I modelli indicati come vincenti da Airbnb sono due: fissare il limite a 180 giorni (come avviene a San Jose), o creare un doppio binario: affitto libero fino 60-90 giorni con l’aggiunta di avere l’obbligo di richiedere una licenza oltre tale limite (come avviene già a Londra e a Philadelphia). Un’ altra proposta riguarda il numero di appartamenti gestiti: in due città (San Francisco e New York), è stata già introdotta la regola del «one host, one home» (un ospite, una casa) che porta con sé il principio: ogni proprietario può essere legato a un solo indirizzo. Un correttivo, questo, per cercare di impedire al gestore, che prende in carico più appartamenti, di trasformare l’affitto saltuario in un lavoro vero e proprio. Infine, un’altra buona pratica, inserita nel documento riguarda il principio: chi viola per tre volte le regole viene espulso dalla piattaforma. La società precisa che si dice disposta a studiare «metriche aggiuntive » per «aiutare le amministrazioni a definire le politiche da adottare», restando però nell’ambito dei dati aggregati e anonimi.

Il documento con le proposte di regolamentazione di Airbnb è scaricabile da questo link.

Beni usati in conto vendita coperti da garanzia

La Corte di giustizia Ue con sentenza del 9 novembre sulla causa C 149/15 h stabilito che il venditore può essere chiamato a prestare la garanzia legale di conformità anche quando vende beni ricevuti in conto vendita da parte di un privato.

Il caso esaminato nella sentenza si riferisce alle auto usate ma ben può applicarsi ad altre tipologie di beni di consumo normalmente offerte in conto vendita da parte di commercianti professionisti.

E’ bene ricordare che la definizione di professionista (attualmente in Italia trasfusa nel Codice del consumo all’articolo 128) prevede che sia tale ogni persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di vendita di tali beni.

I fatti oggetto della sentenza risalgono all’aprile 2012, quando in Belgio un privato acquistava da un’autofficina una vettura usata per 4mila euro, senza rilascio di ricevuta da parte del venditore. Guastatosi il motore dopo soli quattro mesi, l’acquirente si tornava a rivolgersi all’officina venditrice e solo al momento della riconsegna della vettura riparata, di fronte a un conto di 2mila euro, veniva a conoscenza che la vendita era esente da garanzia legale di conformità perché effettuata per conto di un privato. Dopo il rifiuto di saldare da parte dell’acquirente, l’officina si rivolgeva al tribunale di primo grado che gli dava ragione. In appello il cliente chiedeva la risoluzione del contratto di vendita con restituzione del prezzo e un risarcimento di 2mila euro più spese; i giudici sospendevano il procedimento e rimettevano alla Corte Ue il quesito sulla possibilità di configurare l’officina come venditore professionista.

La Corte, dopo una lunga serie di considerando legati alla direttiva 1999/44, ha concluso che la qualifica di venditore su taluni aspetti della vendita di auto usate e relativa garanzia va attribuita anche al professionista che agisca per conto di un privato senza dichiarare che il proprietario del bene venduto è un privato. In tali casi pertanto il commerciante professionista deve prestare la garanzia di conformità resa obbligatoria dalla direttiva 1999/44/Ce sulla vendita dei beni di consumo.

Crowdfunding in crescita ma raccolta modesta rispetto al resto della UE

Interessante report pubblicato dall’Università di Cambridge in collaborazione con KPMG che mostra lo stato della raccolta di capitale con strumenti alternativi rispetto alla tradizionale finanza in ambito UE. Lo studio evidenzia, attraverso dettagliate statistiche paese per paese, un tasso di crescita elevatissimo della raccolta alternativa (circa il 92%). Il mercato che fa padrone è ancora quello UK mentre molto modesti i risultati in Italia ove la tipologia che pare aver riscosso più successo è l’equity-based-crowdfunding, riservato alle start-up innovative.

N.B. All’interno della Legge di Stabilità, attualmente in discussione al Senato, è prevista l’estensione dell’equity based crowdfunding a tutte le PMI.

Il testo del report è scaricabile da questo link.

Normativa e-commerce Ue: le riforme in fase in studio

Tra i numerosi lavori che la commissione Ue sta conducendo ve ne sono alcune che impattano direttamente sulle attività di e-commerce e sui relativi aspetti fiscali. Uno dei temi principali è quello dell’applicazione delle aliquote Iva ridotte sui prodotti editoriali. Sul punto sembra che la commmissione sia intenzionate a consentire ai singoli Stati di applicare aliquote Iva ridotte anche alle pubblicazioni on-line e non solo ai libri e giornali cartacei. La questione è molto sentita in alcuni Paesi e in particolare in Italia. Il governo Renzi decise nel 2014 di tassare al 4% i libri elettronici, nonostante il rischio di una procedura di infrazione comunitaria. Attualmente, le pubblicazioni online hanno una quota del mercato Ue del 5%, che dovrebbe salire al 20% entro il 2021.
Un ulteriore tavolo di lavoro riguarda la riforma della raccolta dell’Iva nel commercio online. Attualmente le regole impongono alle società di registrarsi in tutti Paesi Ue per versare l’imposta nel Paese di destinazione del prodotto. La procedura di registrazione però ha costi molto elevati e l’esecutivo comunitario è convinto che ciò induca molte aziende a frodare l’Iva, provocando un mancato gettito stimato in 5 miliardi di euro all’anno.
La riforma, presentata sotto forma di direttiva che dovrà essere approvata dal Consiglio e dal Parlamento, prevede che la società si registri nel proprio Paese e lì versi l’Iva. Le autorità nazionali dovranno poi riversare il denaro a seconda dello Stato membro di destinazione. Già avviene così per la vendita di servizi su Internet. Il tentativo, naturalmente, è di promuovere il più possibile il commercio online.
Infine una ulteriore proposta riguarda l’eliminazione del prezzo minimo di applicazione dell’Iva per la merce proveniente da Paesi terzi. Oggi la merce con un valore inferiore a 22 euro non viene tassata. Il risultato è che la norma è oggetto di frodi e abusi: 150 milioni di pacchetti arrivano ogni anno in Europa chiedendo l’esenzione dell’Iva. Se la frode viene scoperta, il pagamento della tassa spetta all’acquirente. Bruxelles vuole eliminare l’esenzione, tassando così tutti i beni provenienti dall’estero.
Sempre per promuovere il commercio online, i Ventotto hanno approvato ieri il regolamento che vieta il geoblocking, la possibilità per le imprese di bloccare l’accesso al proprio sito per i consumatori all’estero. Il pacchetto passa ora al Parlamento. L’obiettivo è eliminare discriminazioni basate su nazionalità o residenza. Il venditore potrà applicare prezzi diversi a seconda dell’acquirente, ma senza discriminare. Le condizioni di vendita saranno quelle del luogo del consumatore.

Tra i numerosi lavori che la commissione Ue sta conducendo ve ne sono alcune che impattano direttamente sulle attività di e-commerce e sui relativi aspetti fiscali. Uno dei temi principali è quello dell’applicazione delle aliquote Iva ridotte sui prodotti editoriali. Sul punto sembra che la commmissione sia intenzionate a consentire ai singoli Stati di applicare aliquote Iva ridotte anche alle pubblicazioni on-line e non solo ai libri e giornali cartacei. La questione è molto sentita in alcuni Paesi e in particolare in Italia. Il governo Renzi decise nel 2014 di tassare al 4% i libri elettronici, nonostante il rischio di una procedura di infrazione comunitaria. Attualmente, le pubblicazioni online hanno una quota del mercato Ue del 5%, che dovrebbe salire al 20% entro il 2021.
Un ulteriore tavolo di lavoro riguarda la riforma della raccolta dell’Iva nel commercio online. Attualmente le regole impongono alle società di registrarsi in tutti Paesi Ue per versare l’imposta nel Paese di destinazione del prodotto. La procedura di registrazione però ha costi molto elevati e l’esecutivo comunitario è convinto che ciò induca molte aziende a frodare l’Iva, provocando un mancato gettito stimato in 5 miliardi di euro all’anno.
La riforma, presentata sotto forma di direttiva che dovrà essere approvata dal Consiglio e dal Parlamento, prevede che la società si registri nel proprio Paese e lì versi l’Iva. Le autorità nazionali dovranno poi riversare il denaro a seconda dello Stato membro di destinazione. Già avviene così per la vendita di servizi su Internet. Il tentativo, naturalmente, è di promuovere il più possibile il commercio online.
Infine una ulteriore proposta riguarda l’eliminazione del prezzo minimo di applicazione dell’Iva per la merce proveniente da Paesi terzi. Oggi la merce con un valore inferiore a 22 euro non viene tassata. Il risultato è che la norma è oggetto di frodi e abusi: 150 milioni di pacchetti arrivano ogni anno in Europa chiedendo l’esenzione dell’Iva. Se la frode viene scoperta, il pagamento della tassa spetta all’acquirente. Bruxelles vuole eliminare l’esenzione, tassando così tutti i beni provenienti dall’estero.
Sempre per promuovere il commercio online, i Ventotto hanno approvato ieri il regolamento che vieta il geoblocking, la possibilità per le imprese di bloccare l’accesso al proprio sito per i consumatori all’estero. Il pacchetto passa ora al Parlamento. L’obiettivo è eliminare discriminazioni basate su nazionalità o residenza. Il venditore potrà applicare prezzi diversi a seconda dell’acquirente, ma senza discriminare. Le condizioni di vendita saranno quelle del luogo del consumatore.

Procedura di costituzione start-up innovative: gli errori da evitare

Diversi imprenditori si stanno cimentando nella procedura di costituzione on-line della start-up innovativa attraverso il portale “Atti startup” messo a disposizione dalla società Infocamere. Purtroppo la procedura non sembra essere molto rapida e tantomeno chiara. Vediamo quali sono le principali criticità che abbiamo riscontrato:

1) Registrazione fiscale dell’atto: dal portale e dalle istruzioni pubblicate non è chiaro l’ordine degli adempimenti da seguire: da un lato sembrerebbe che la registrazione dell’atto sia l’ultimo degli adempimenti da porre in essere (il portale richiede di allegare la ricevuta di registrazione alla pratica di Comunicazione Unica per l’iscrizione della società) mentre altrove viene detto di procedere prima alla registrazione e poi alla predisposizione della pratica di Comunicazione Unica da inviare al registro delle imprese.

2) Servizio di assistenza: se si contatta il servizio di assistenza messo a disposizione dalla camera di commercio si viene invitati a compilare e a firmare digitalmente un modello con cui si autorizzano i controlli di competenza della CCIAA e un modello di dichiarazione sostitutiva di atto notorio e certificazione attestante il possesso dei requisiti della start-up. Successivamente la procedura prevede che, nel caso in cui ci si avvalga dell’assistenza, sarà necessario recarsi fisicamente, previo appuntamento, presso la Camera di Commercio competente per effettuare il deposito della firma.

3) Tempi per la registrazione fiscale del modello. Dipende dall’Ufficio che si sceglie per effettuare la registrazione. In alcuni casi ci sono volute anche due settimane.

4) Versamento dell’imposta di registro e di bollo. Se si sceglie di avvalersi del servizio di assistenza l’eventuale versamento già effettuato non è più valido e occorre versare nuovamente gli importi in sede di registrazione dell’atto che viene effettuata fisicamente presso la camera di commercio.

5) Controlli antimafia. Per abbreviare i tempi relativi alla verifica dei requisiti soggettivi dei soci viene da ultimo richiesto di far compilare ai genitori e familiari conviventi dei soci sottoscrittori una specifica autocertificazione antimafia.