Start-up innovative: dal 30 giugno cambia la procedura per la costituzione on-line

A partire dal 30 giugno è cambiata la procedura per la costituzione on-line delle start-up innovative (senza ricorso al notaio). I numerosi problemi e le lungaggini della vecchia procedura hanno probabilmente indotto chi di dovere a tentare di semplificare o quanto meno a chiarire meglio alcuni aspetti che risultavano difficilmente superabili senza il ricorso all’assistenza offerta da Infocamere (con il fondamentale supporto dei funzionari delle varie camere di commercio coinvolte).

Accedendo ora alla piattaforma start-up ci si trova di fronte alla scelta se ricorrere all’assistenza della camera di commercio per la predisposizione della pratica di iscrizione (art. 25 CAD) oppure se procedere autonomamente (art. 24 CAD) dove CAD sta per Codice dell’Amministrazione Digitale (D.Lgs 82/2005).

Posto che in entrambi i casi è necessario possedere le firme digitali e redigere in via autonoma atto costituivo e statuto della futura start-up, le differenze tra i due percorsi sono le seguenti:

– la durata della procedura, sensibilmente più lunga nel caso di ricorso all’assistenza;

– sempre nel caso di ricorso all’assistenza è da tenere in conto la necessità di recarsi presso la camera di commercio per l’autentica delle firme a fine procedura;

– se si sceglie di non ricorrere all’assistenza (art. 24 CAD) è necessario saper redigere la pratica di iscrizione della società utilizzando il software Fedra.

Non cambiano i costi complessivi dell’intera procedura che ammontano ad Euro 200,00 per imposta di registro ed Euro 128,00 per imposta di bollo quindi 328,00 Euro in totale.

La partita Iva viene attribuita verso la fine della procedura. Sembra sarà consentito richiederla anche prima del completamento della procedura, se si sceglie di procedere in via autonoma.

I guadagni di uno “youtuber” sono inquadrabili tra i diritti d’autore?

Una domanda frequente che mi viene rivolta riguarda l’inqudramento ai fini fiscali del redditi prodotti da youtubers che monetizzano la loro attività sul web al di fuori delle entrate pubblicitarie garantite dal sito Youtube (Google Adsense) e quindi attraverso l’intervento di piattaforme terze).

Nella categoria youtuber si trovano svariate tipologie: può trattarsi di cantanti, musicisti o interpreti, attori o performers di vario tipo, recensori di prodotti, autori di video comici, interviste, parodie o inchieste giornalistiche, ecc…

La domanda principale che viene posta è se sia necessario o meno aprire una partita Iva per gestire tale attività.

La risposta purtroppo non è univoca e dipende da vari fattori tra cui il grado di abitualità e di organizzazione e, non da ultimo, l’ammontare dei guadagni conseguiti.

In generale, in presenza di un’attività con frequenza costante, di un grado di organizzazione seppur minimo (attrezzature di base, microfoni, allestimenti vari, ecc..) e di importi di un certo rilievo l’attività ricade sicuramente nell’ambito Iva ed è pertanto necessario aprire una posizione Iva.

Relativamente agli importi è bene tenere presente che, analogamente ad altre attività, non esiste una soglia di riferimento fissa. Il limite di 5.000, al di sotto del quale una attività può considerarsi occasionale, riguarda solo le prestazioni di servizi. Per attività di altro tipo occorre guardare a tutti e 3 i parametri contemporaneamente (abitualità, organizzazione, importi conseguiti).

Una volta aperta la partita Iva è possibile optare per il regime forfettario se si rispetta il limite di ricavi annui entro i 65.000 Euro oppure per il regime normale di contabilità semplificata se non si possiedono i requisiti per il regime forfettario. In questo secondo caso la tassazione avverrà secondo le aliquote progressive Irpef.

Per quanto riguarda l’inquadramento generale il tipo di attività svolta dallo youtuber che ottiene entrate al di fuori di Google Adsense potrebbe rientrare tra le opere delle ingegno se connotata da una spiccata componente performativa (esibizioni canore, letterarie o artistiche in genere).

In uno dei contratti sottoscritti da uno youtuber con una piattaforma di distribuzione video si legge ad esempio:

Con la presente, il partner garantisce a XXXXXXXXX, per tutta la durata del presente contratto, il diritto esclusivo, mondiale, trasferibile e sub-licenziabile:
(i) A commercializzare, distribuire e utilizzare le presenze online oggetto del presente contratto su tutte le piattaforme, vale a dire, ove possibile, sull’intera rete internet.
(ii) A impiegare, con ogni modalità d’uso, i contenuti delle presenze online oggetto del presente contratto anche a fini di autopromozione, in particolare a utilizzarli, riprodurli e renderli illimitatamente accessibili a terzi, quale che sia il mezzo impiegato (per tale si intende anche il download), nonché a diffonderli, distribuirli renderli pubblici, inviarli, modificarli (per tali si intendono anche abbreviazioni e collegamenti con altre creazioni) e,
in egual modo, a utilizzare e commercializzare le opere risultanti.

Ne deriva che in questo particolare caso il relativo reddito potrebbe essere  inquadrabile nell’ambito del diritto d’autore. Pertanto un codice ATECO adatto a questo tipo di attività potrebbe essere 90.03.09

Privacy: verso l’abolizione del banner per i cookie di Google Analytics

La proposta di regolamento presentata oggi dalla Commissione Europea contiene alcune interessanti misure di semplificazione relative alla c.d. normativa cookie.

Le nuove norme permetteranno agli utenti di avere un maggiore controllo sulle impostazioni, consentendo di accettare o rifiutare facilmente il monitoraggio dei cookie e di altri identificatori in caso di rischi per la riservatezza.

La proposta chiarisce che il consenso non è necessario per i cookie non intrusivi che migliorano l’esperienza degli utenti (ad esempio, quelli che permettono di ricordare la cronologia del carrello degli acquisti).

Il consenso non sarà più necessario per i cookie che contano il numero di utenti che visitano un sito web. Quindi a quanto sembra i c.d. cookie analytics non dovrebbero più essere oggetto di preventivo consenso.

 

Direttiva 2014/26/Ue: nuove regole sulla gestione collettiva dei diritti musicali

Lo schema di dlgs di recepimento della direttiva 2014/26/Ue relativo alla gestione dei diritti d’autore e alla concessione delle licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno ha ottenuto il via libera in via preliminare dal consiglio dei ministri di ieri. Le finalità che il decreto si propone sono quelle di garantire:

– l’uniformità delle regole per la gestione collettiva dei diritti d’autore su opere musicali e dei diritti a essi connessi;

– la libertà per i titolari dei diritti di scegliere liberamente l’organismo di gestione collettiva cui affidare la gestione dei propri diritti, equa distribuzione delle royalties.

Viene inoltre prevista una struttura di governance idonea, nonché una adeguata informativa sull’entità dei diritti spettanti e sulle detrazioni effettuate, accompagnate da una appropriata rendicontazione e dalla previsione di un termine uniforme per la distribuzione dei compensi ai titolari dei diritti.

Tra gli organismi di gestione collettiva, nel decreto di recepimento, viene esplicitamente menzionata la SIAE che svolge attualmente la gestione dei diritti d’autore in regime di riserva legale.

In Italia continuerà quindi ad applicarsi, relativamente all’intermediazione dei diritti d’autore, il regime di monopolio affidato alla SIAE, come del resto permette la Direttiva, che “non interferisce con le modalità di gestione dei diritti in vigore negli Stati membri”, ferma la possibilità per i titolari dei diritti, prevista in Direttiva e recepita nell’articolo 4 del decreto, di rivolgersi ad un organismo di gestione collettiva di un altro Stato membro, indipendentemente dalla nazionalità di quest’ultimo, per la gestione dei propri diritti d’autore.

Gestione affitti brevi: le regole di Airbnb

La necessità di una maggiore regolamentazione all’home-sharing è stata un’esigenza sollevata di recente da più paesi, tra cui anche l’Italia (i parlamentari
italiani avevano suggerito l’introduzione di una cedolare secca al 21% e la creazione di un registro ad hoc dedicato agli «ospiti», proposta poi non passata).

A questi problemi prova a dare una soluzione la stessa Airbnb detentrice del principale portale di affitti-brevi formulando delle indicazioni di «buone pratiche» quindi non delle vere e proprie norme.

I modelli indicati come vincenti da Airbnb sono due: fissare il limite a 180 giorni (come avviene a San Jose), o creare un doppio binario: affitto libero fino 60-90 giorni con l’aggiunta di avere l’obbligo di richiedere una licenza oltre tale limite (come avviene già a Londra e a Philadelphia). Un’ altra proposta riguarda il numero di appartamenti gestiti: in due città (San Francisco e New York), è stata già introdotta la regola del «one host, one home» (un ospite, una casa) che porta con sé il principio: ogni proprietario può essere legato a un solo indirizzo. Un correttivo, questo, per cercare di impedire al gestore, che prende in carico più appartamenti, di trasformare l’affitto saltuario in un lavoro vero e proprio. Infine, un’altra buona pratica, inserita nel documento riguarda il principio: chi viola per tre volte le regole viene espulso dalla piattaforma. La società precisa che si dice disposta a studiare «metriche aggiuntive » per «aiutare le amministrazioni a definire le politiche da adottare», restando però nell’ambito dei dati aggregati e anonimi.

Il documento con le proposte di regolamentazione di Airbnb è scaricabile da questo link.

Beni usati in conto vendita coperti da garanzia

La Corte di giustizia Ue con sentenza del 9 novembre sulla causa C 149/15 h stabilito che il venditore può essere chiamato a prestare la garanzia legale di conformità anche quando vende beni ricevuti in conto vendita da parte di un privato.

Il caso esaminato nella sentenza si riferisce alle auto usate ma ben può applicarsi ad altre tipologie di beni di consumo normalmente offerte in conto vendita da parte di commercianti professionisti.

E’ bene ricordare che la definizione di professionista (attualmente in Italia trasfusa nel Codice del consumo all’articolo 128) prevede che sia tale ogni persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di vendita di tali beni.

I fatti oggetto della sentenza risalgono all’aprile 2012, quando in Belgio un privato acquistava da un’autofficina una vettura usata per 4mila euro, senza rilascio di ricevuta da parte del venditore. Guastatosi il motore dopo soli quattro mesi, l’acquirente si tornava a rivolgersi all’officina venditrice e solo al momento della riconsegna della vettura riparata, di fronte a un conto di 2mila euro, veniva a conoscenza che la vendita era esente da garanzia legale di conformità perché effettuata per conto di un privato. Dopo il rifiuto di saldare da parte dell’acquirente, l’officina si rivolgeva al tribunale di primo grado che gli dava ragione. In appello il cliente chiedeva la risoluzione del contratto di vendita con restituzione del prezzo e un risarcimento di 2mila euro più spese; i giudici sospendevano il procedimento e rimettevano alla Corte Ue il quesito sulla possibilità di configurare l’officina come venditore professionista.

La Corte, dopo una lunga serie di considerando legati alla direttiva 1999/44, ha concluso che la qualifica di venditore su taluni aspetti della vendita di auto usate e relativa garanzia va attribuita anche al professionista che agisca per conto di un privato senza dichiarare che il proprietario del bene venduto è un privato. In tali casi pertanto il commerciante professionista deve prestare la garanzia di conformità resa obbligatoria dalla direttiva 1999/44/Ce sulla vendita dei beni di consumo.