E’ frequente l’ipotesi in cui uno o piu’ persone fisiche possedendo un marchio registrato, decidano di darlo in concessione alla società di cui sono soci. Vediamo dunque di riepilogare brevemente:
- come deve essere considerato, da un punto di vista fiscale, il compenso che percepiranno i soci
- se il canone di concessione possa essere considerato un costo interamente deducibile per la società
La risoluzione 30/E/2006 ha attribuito rilevanza impositiva, come reddito diverso, ai corrispettivi considerati, limitatamente all’esecuzione del contratto di “concessione” (e non anche di cessione) per l’utilizzo del marchio, in quanto suscettibili di essere annoverati nella più generica e residuale fattispecie giuridico–fiscale prevista dall’articolo 67, comma 1, lettera l, del Tuir (Dpr 917/1986), consistente nell’assunzione dell’obbligo di fare, non fare, permettere.
Il percettore dovrà dichiararli nel quadro RL, sezione II–A, rigo RL16, del modello Redditi persone fisiche, determinando la base imponibile al netto di tutte le eventuali spese specificamente inerenti (articolo 71,comma 2, del Tuir).
La società che sfrutta la concessione del marchio dedurrà il costo, risultante dalla capitalizzazione dei canoni previsti per tutta la durata del rapporto contrattuale, nella misura non superiore a un diciottesimo (articolo 103 del Tuir), anche se la corresponsione dei canoni avviene in forma periodica. Laddove sia convenuto il pagamento di un corrispettivo quantificato in funzione delle percentuali di vendita, è da ritenere possibile la sua intera deducibilità come costo d’esercizio.
E’ inoltre necessario assoggettare i corrispettivi, all’atto della loro erogazione, alla ritenuta d’acconto del 20 per cento (articolo 25 del Dpr 600/1973).
Non si riscontrano, infine, criticità nel fatto che i concedenti del marchio rivestano la soggettività di soci della società concessionaria.