La start-up che si approccia alla finanza ordinaria (banca, leasing, factoring) o alternativa (private equity, private debt, quotazione in borsa) deve mostrare numeri convincenti ai soggetti che a titolo di equity o di debito hanno intenzione di investirvi. Da qui l’attenzione non solo ai risultati storici (bilanci) ma anche a quelli prospettici (budget, forecast e business plan).
Sia i finanziatori di equity (private equity e borsa) sia quelli di debito (banca, private debt, leasing e factoring) decidono se investire sulla base della bontà dei numeri. Ciò tuttavia con un’attenzione ad aspetti differenti. Chi apporta equity, infatti, sarà interessato a una corretta valorizzazione dell’impresa in cui sta investendo. Spesso il fondo di private equity o la borsa valutano le start-up in base al metodo dei multipli di mercato, particolarmente apprezzato per la sua immediatezza e facilità di applicazione: il valore dell’impresa (equity value) sarà pari al prodotto dell’Ebitda per un determinato multiplo, cui andrà sottratta la posizione finanziaria netta. L’obiettivo di questo investitore è infatti quello di conseguire un capital gain dall’operazione effettuata. Ciò sarà valido sia nel caso del private equity, che mira a massimizzare l’Irr (Internal rate of return) del proprio investimento, sia nel caso della borsa, dove l’investitore vorrà conseguire un guadagno in conto capitale fra il prezzo di acquisto o di sottoscrizione e quello di vendita. Viceversa chi finanzia a titolo di debito non avrà particolare interesse alla corretta valorizzazione della start-up, ma ad assicurarsi che l’azienda sia in grado di rimborsare il debito (quota capitale e quota interessi) lungo la durata del prestito. La valutazione avviene attraverso il monitoraggio di determinati indici di bilancio quali il leverage ratio (debito/Ebitda), che misura gli anni necessari al rimborso del debito dato un certo livello di Ebitda e il gearing ratio (debito/patrimonio netto) ovvero il livello di leva finanziaria.
Comun denominatore di queste differenti valutazioni è comunque la bontà dei numeri espressi dalla start-up. Sotto questo profilo, pertanto, il bilancio di esercizio non può che essere il principale biglietto da visita dell’impresa agli occhi dei finanziatori a vario titolo. Infatti le banche comunemente attendono la stagione dei bilanci per rivalutare le pratiche di affidamento, confermando i fidi, incrementandoli in caso di performance positiva o riducendoli se negativa. Ma anche il private equity, interessato a comprendere se e in che misura entrare nel capitale della start-up guarderà ai bilanci. E lo stesso fa la borsa, il cui giudizio sulla performance aziendale è addirittura giornaliero, in presenza di un prezzo che oscilla quotidianamente. Anche per le quotate, dunque, la stagione dei bilanci rappresenta un evento di valutazione molto importante.
Giova considerare, tuttavia, che accanto all’aspetto che possiamo definire storico, proprio del bilancio, deve essere riposta la massima attenzione anche su quello prospettico. Chi investe non è tanto (e non solo) interessato ai numeri che l’impresa ha conseguito in passato, ma anche e soprattutto a quelli che sarà in grado di raggiungere. Da questo punto di vista hanno la massima importanza i forecast, i budget e i piani pluriennali. I primi, infatti, consentono di misurare l’andamento della gestione fino ad una certa data e di proiettare poi questi per individuare la presumibile chiusura dell’esercizio in corso. Il budget rappresenta, invece, la fase più prodromica in quanto alla fine dell’anno precedente (o al massimo nei primissimi mesi del successivo) si andranno a costruire le previsioni sull’anno successivo. Esercizio più complesso è quello del piano pluriennale, a tre o cinque anni, per immaginare le performance di un arco temporale futuro.
Accanto alla pianificazione è poi fondamentale il controllo di gestione. Ciò per due finalità: la prima di misurazione della performance (meglio se mensile) e di correzione della gestione qualora la stessa appaia insoddisfacente; la seconda per misurare gli scostamenti fra il consuntivo e quanto preventivato in fase di proiezioni (forecast, budget e piano).
Gli indici da monitorare: posizione finanziare ed Ebitda
Alcuni indicatori di bilancio sono comunemente utilizzati sia per interventi di equity (borsa, private equity) sia di debito (banca, private debt). Si tratta di indicatori necessari sia per la valorizzazione della start-up mediante i multipli di mercato) sia per la costruzione di determinati indicatori (leverage ratio e gearing ratio). Tra questi in particolare l’Ebitda (Earning before interest taxes depreciation and amortization) e la posizione finanziaria netta (Pfn).
L’Ebitda o margine operativo lordo (Mol) è un indicatore che contrappone i costi e i ricavi della gestione caratteristica prima di considerare gli ammortamenti, gli accantonamenti, la componente finanziaria e le imposte. E’ molto utilizzato dagli analisti finanziari perché costituisce una buona approssimazione del flusso di cassa. Inoltre non risente di eventuali politiche di bilancio degli amministratori che fanno leva proprio sugli ammortamenti. Si differenzia, invece, dall’Ebit (risultato operativo) in quanto quest’ultimo si misura prima delle sole imposte e dell’area finanziaria, ma quindi dopo gli ammortamenti e gli accantonamenti.
Per quelle imprese che non hanno un peso rilevante delle immobilizzazione (e dei relativi ammortamenti) generalmente i due indicatori risultano molto simili. Viene anche utilizzato in misura percentuale rispetto al fatturato (Ebitda margin), dimostrando che l’impresa ha un certo appeal quando tale margine è in doppia cifra. Per quei settori che presentano un elevato valore aggiunto (moda, lusso, industrie di nicchia) può arrivare a toccare anche il 20-30 per cento e in quel caso la valorizzazione dell’impresa ne risentirà positivamente.
La posizione finanziaria netta misura l’indebitamento complessivo dell’impresa, quale differenza fra i debiti finanziari (tipicamente bancari) e la cassa attiva sul conto corrente. Un valore positivo della Pfn significa che la start-up è indebitata, viceversa un valore negativo dimostra che la stessa lavora su basi attive. A seconda del fatto che, in particolare, i debiti siano di breve o di medio lungo termine si avrà una Pfn di breve termine e una di medio lungo termine. Più la start-up è spostata nel medio lungo termine più il suo debito è consolidato e ciò si rende utile per fronteggiare l’attivo fisso (asset, immobilizzazioni). Se la posizione finanziaria netta è negativa, ovvero la start-up ha cassa attiva, nell’ambito della sua valutazione ciò determinerà un incremento del suo equity value. Di contro, una Pfn negativa (ovvero un indebitamento netto) ridurrà l’equity value.
Ciò in quanto
Equity value = enterprise value – Pfn
Enterprise value = Ebitda * multiplo
L’importanza della Pfn è altresì legata ad indicatori tipici che vengono utilizzati per la concessione di debito alla start-up. Il rapporto di indebitamento D/E (Debt to Equity), detto anche leva finanziaria, confronta l’indebitamento con il patrimonio netto e per valori particolarmente elevati dimostra che la start-up è sottocapitalizzata. Tale aspetto è particolarmente tenuto in considerazione dalle banche nelle istruttorie di fido.
Nella costruzione della Pfn occorre fare attenzione a due aspetti. Spesso il debito è sottostimato perché ci si dimentica di ricomprendere la componente dei leasing. Ciò accade in quanto, per i soggetti che redigono i bilanci in base ai principi Oic, il leasing non compare in bilancio. Pertanto nel calcolare la Pfn occorre ricordarsi di includerlo.