E’ notizia di questi giorni l’effettuazione di indagini da parte della Guardia di Finanza che hanno portato agli accertamenti di redditi non dichiarati, tra gli altri, da parte di noti influencer.
Tralasciando le allarmanti ipotesi descritte dalla cronaca di compensi, strettamente connessi alle visualizzazioni raggiunte, conseguiti in completa evasione di imposta, ci concentriamo qui su alcuni problemi che possono sorgere a causa della controversa natura dell’attività di influencer e della conseguente qualificazione a fini tributari del relativo reddito prodotto.
A tale proposito possono venire in aiuto alcuni passaggi della recente sentenza della Corte Giustizia Tributaria di secondo grado Torino, 15 maggio 2023, n. 219 nell’ambito del c.d caso Ronaldo.
Secondo tale sentenza nel caso di influencer puro (in quanto esercita solo o in via prevalente tale attività) non appare corretto parlare di cessione del diritto di sfruttamento economico dell’immagine quale principale attività produttiva del reddito percepito.
Riportiamo qui un passaggio di tale sentenza: “Si pensi, ad esempio, a quanto succede con le numerose figure di ‘influencer’ (tra i quali deve ormai annoverarsi anche l’attuale appellante), ormai diffusissime sulla rete telematica, la cui notorietà spesso prescinde da particolari abilita o successi in qualche settore di attività e consegue principalmente – e talvolta esclusivamente – da una particolare abilita nella mera presentazione della propria persona. … Dunque, l’esercizio abituale e professionale della gestione di quell’immagine rende evidente la qualificabilità del reddito che ne consegue come proveniente da un’attività di lavoro autonomo, a norma dell’art. 53, comma 1, T.U.I.R.”
Sempre secondo i medesimi giudici, quindi, “Cio che infatti emerge prepotentemente, in fenomeni del tipo di cui ci si occupa in questa sede, e il fatto che l’immagine del personaggio famoso finisce per costituire di per se´ un valore, la cui promozione rappresenta essa stessa un’attività professionale (avente natura di lavoro autonomo) produttiva di reddito”.
Appare dunque evidente, secondo tale sentenza, che non si possa parlare, in questi casi, di cessione del diritto di sfruttamento economico dell’immagine e/o di obbligo di concedere a terzi il diritto di sfruttamento di contenuti multimediali. L’attività degli influencer è caratterizzata da un impegno professionale continuo, volto a promuovere la creazione di contenuti e la veicolazione degli stessi e della propria immagine presso i followers (1). Di conseguenza essa possiede tutti i requisiti richiesti dall’art. 53 T.U.I.R. e cioè l’esercizio per professione abituale, ancorche´ non esclusiva, di attività di lavoro autonomo.
Dal punto di vista pratico la principale conseguenza è che l’attività di influencer non può prescindere dall’apertura di partita IVA come ditta individuale. Ciò ad eccezione delle possibile ipotesi in cui l’attività dell’influencer venga esercitata attraverso strutture societarie italiane ovvero estere definite star companies per cui il relativo reddito andrà inquadrato tra i redditi d’impresa.
Inoltre da un punto di vista previdenziale non si potrà invocare alcuna esenzione da contribuzione Inps legata allo sfruttamento del diritto d’immagine con la conseguenza che l’attività di influencer sarà soggetta ad iscrizione presso la Gestione Separata Inps con conseguente versamento della relativa contribuzione.
(1) La rilevanza dei followers all’interno del fenomeno social e` attestata anche dalla delibera 7/24/CONS dell’Agcom denominata “Linee guida volte a garantire il rispetto delle disposizioni del Testo Unico da parte degli influencer” laddove il numero di followers (1 milione) fa scattare gli obblighi previsti dalle Linee guida (misure in materia di comunicazioni commerciale; tutela dei diritti fondamentali della persona, ecc.).