Le software house che si occupano di progettare soluzione software (web App, siti web e gestionali) per aziende, privati e professionisti hanno necessità di tutelarsi nel caso in cui il committente voglia utilizzare il lor codice sorgente, per esempio sviluppandolo per conto proprio.

A norma della legge sul diritto d’autore (legge 633/1941), il software è un’opera dell’ingegno riconosciuta e tutelata dal nostro ordinamento al pari di un’opera letteraria.

Il codice “sorgente” costituisce il linguaggio alfa-numerico attraverso cui il programma per elaboratore è in grado di funzionare, ma non risulta visibile all’utente finale, il quale interagisce solo con l’interfaccia del programma. Esso risulta tutelabile nella sua interezza, laddove sia dotato di valore creativo secondo l’articolo 2 della legge citata, e può costituire oggetto di cessione dei diritti nell’ambito di un contratto d’opera o appalto per lo sviluppo del software. In quest’ultimo caso, tuttavia, occorre che le parti – da una parte il committente, e, dall’altra, lo sviluppatore – indichino la finalità creativa, l’oggetto e l’ampiezza dei diritti di utilizzazione economica che vengono ceduti sul sorgente, non tralasciando l’aspetto dell’adeguata remunerazione dello sviluppatore.

In difetto di questi requisiti, come ha precisato la Cassazione nella sentenza 19335/2022, la cessione dei diritti potrebbe non perfezionarsi correttamente, causando dubbi e perplessità sulla titolarità e sullo sfruttamento dei diritti connessi ai sorgenti.