Come si inquadra dal punto di vista fiscale l’attività di vendita di spazi pubblicitari su Internet? E come trattare il caso in cui gli spazi vengano ceduti gratuitamente? Proviamo a rispondere partendo da un caso concreto. Prendiamo ad esempio il caso della ditta “Alfa” che gestisce un portale Internet dedicato alla segnalazione di offerte commerciali nel settore turistico-alberghiero. Il portale ospita spazi pubblicitari (c.d. “banner”) sottoscrivibili dietro corrispettivo da terzi inserzionisti interessati a veicolare la loro offerta nel settore turistico attraverso il canale Internet. Nell’ottica di instaurare con i clienti-inserzionisti un rapporto commerciale duraturo, il gestore del portale concede alcuni spazi pubblicitari a titolo gratuito per un limitato periodo di tempo (periodo di “prova”) al termine del quale il potenziale inserzionista potrà decidere se sottoscrivere il servizio alle condizioni economiche stabilite dal gestore del portale.
Inquadramento della fattispecie
Prima di procedere all’analisi dei risvolti fiscali della fattispecie sopra delineata si rende necessario effettuare la corretta qualificazione ai fini IVA dell’operazione. Risulta in particolare determinante appurare se la cessione di spazi pubblicitari su Internet sia classificabile quale “cessione di beni” ovvero quale “prestazione di servizi” ai fini dell’applicazione della disciplina relativa all’Imposta sul Valore Aggiunto. A tale riguardo la normativa comunitaria pare nettamente orientata verso la seconda delle soluzioni indicate. Depone infatti in tal senso la Comunicazione della Commissione Europea COM (98) 374, Commercio elettronico e tassazione indiretta, del 17 giugno 1998, la quale ha individuato tra le linee guida per l’applicazione della disciplina delle imposte indirette al commercio elettronico, il criterio dell’assimilazione di tutte le transazioni realizzate con mezzi elettronici alle prestazioni di servizi[1]. Ad ulteriore supporto di tale conclusione è possibile menzionare il testo del Regolamento CE 17 ottobre 2005 – n. 1777/2005 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea n. 288 del 29 ottobre 2005 serie L) il quale, nel tentativo di definire alcuni criteri interpretativi idonei ad eliminare le divergenze nell’applicazione dell’IVA all’interno dei singoli Stati membri, ha fornito una classificazione dei c.d. “servizi eseguiti tramite mezzi elettronici” tradotti nel gergo della prassi operativa con il termine “e-commerce“. A tale riguardo il suddetto Regolamento ha precisato che rientra nell’ambito del commercio elettronico diretto, ed è pertanto qualificabile come prestazione di servizi, la “fornitura di spazio pubblicitario, compresi banner pubblicitari su una pagina web o un sito web”.
Il trattamento ai fini IVA delle cessioni gratuite di spazi pubblicitari, effettuate a scopo promozionale
Una volta inquadrata l’operazione di cui all’oggetto nel novero delle prestazioni di servizi ai fini della disciplina sull’imposta sul valore aggiunto, si rende necessario esaminare i profili fiscali della fattispecie costituita dalla cessione a titolo gratuito (ovvero senza corrispettivo) dei banner pubblicitari. Tale pratica si rende necessaria, in un’ottica tipicamente commerciale, al fine di offrire al cliente inserzionista la possibilità di “testare” il servizio valutandone l’efficacia dal punto di vista commerciale e decidere eventualmente di sottoscriverlo alle condizioni economiche proposte.
Nella normativa nazionale, la rilevanza agli effetti dell’IVA delle prestazioni di servizi rese a titolo gratuito è contenuta nell’art. 3, terzo comma, primo periodo, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Tale articolo subordina l’imponibilità ai fini IVA di tali operazioni a condizione che:
1) l’imposta afferente agli acquisti di beni e servizi relativi alla loro esecuzione sia detraibile;
2) il valore dell’operazione sia superiore a Euro 25,82;
3) siano effettuate per l’uso personale o familiare dell’imprenditore ovvero per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
Tralasciando le condizioni di cui a punti sub 1) e sub 2) che appaiono senz’altro verificate nel caso di specie, merita osservare come la condizione di cui al punto sub 3) determini la rilevanza ai fini IVA della prestazione gratuita solo se la stessa è effettuata per l’uso personale o familiare dell’imprenditore ovvero per altre finalità estranee all’esercizio dell’impresa. Rientrano quindi nell’ambito applicativo dell’imposta solo le prestazioni gratuite che rispondano a finalità di liberalità e non quelle che sono tese a soddisfare uno specifico interesse imprenditoriale del prestatore. Ciò risulta confermato dall’ultima parte dell’art. 3, terzo comma, primo periodo, del D.P.R. n. 633/1972, che prende espressamente in considerazione – al fine di escluderle dall’ambito impositivo – ipotesi di prestazioni gratuite che, evidenziando tale carattere di liberalità, in carenza della disposizione pacificamente rientrerebbero nel campo di applicazione del tributo[2].
Con riguardo al caso di specie, è possibile concludere che, essendo la cessione gratuita dei banner pubblicitari funzionale all’esercizio ottimale dell’attività d’impresa[3], la stessa non può configurarsi quale prestazione di servizi imponibile ai fini IVA in quanto non rientrante nelle ipotesi indicate dall’art. 3, terzo comma, primo periodo, del D.P.R. n. 633/72.
[1] A risultati interpretativi opposti, nel senso di un possibile inquadramento delle attività di commercio elettronico tra le cessioni di beni anziché tra le prestazioni di servizi, parrebbe invece condurre la normativa nazionale ed, in particolare, l’art. 2 del d.p.r. 633/72 che -come è noto – prevede una definizione molto ampia di cessioni di beni (“beni di ogni genere e specie”) al cui interno possono rientrare anche i trasferimenti di beni non materiali, effettuati mediante l’utilizzo di strumenti informatici. Tale impostazione non pare tuttavia conforme all’ordinamento comunitario – prevalente in caso di contrasti con la normativa interna – tenuto conto che l’art. 14, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/Ce considera quali cessioni di beni soltanto quelli che hanno ad oggetto beni materiali ed il successivo art. 25 include le cessioni di beni immateriali tra le prestazioni di servizi.
[2] Quali, in via esemplificativa, le prestazioni di divulgazione pubblicitaria effettuata verso enti senza scopo di lucro.
[3] Ovvero all’ottenimento di un ritorno economico indiretto pur in assenza di un immediato corrispettivo.