Procedura di costituzione start-up innovative: gli errori da evitare

Diversi imprenditori si stanno cimentando nella procedura di costituzione on-line della start-up innovativa attraverso il portale “Atti startup” messo a disposizione dalla società Infocamere. Purtroppo la procedura non sembra essere molto rapida e tantomeno chiara. Vediamo quali sono le principali criticità che abbiamo riscontrato:

1) Registrazione fiscale dell’atto: dal portale e dalle istruzioni pubblicate non è chiaro l’ordine degli adempimenti da seguire: da un lato sembrerebbe che la registrazione dell’atto sia l’ultimo degli adempimenti da porre in essere (il portale richiede di allegare la ricevuta di registrazione alla pratica di Comunicazione Unica per l’iscrizione della società) mentre altrove viene detto di procedere prima alla registrazione e poi alla predisposizione della pratica di Comunicazione Unica da inviare al registro delle imprese.

2) Servizio di assistenza: se si contatta il servizio di assistenza messo a disposizione dalla camera di commercio si viene invitati a compilare e a firmare digitalmente un modello con cui si autorizzano i controlli di competenza della CCIAA e un modello di dichiarazione sostitutiva di atto notorio e certificazione attestante il possesso dei requisiti della start-up. Successivamente la procedura prevede che, nel caso in cui ci si avvalga dell’assistenza, sarà necessario recarsi fisicamente, previo appuntamento, presso la Camera di Commercio competente per effettuare il deposito della firma.

3) Tempi per la registrazione fiscale del modello. Dipende dall’Ufficio che si sceglie per effettuare la registrazione. In alcuni casi ci sono volute anche due settimane.

4) Versamento dell’imposta di registro e di bollo. Se si sceglie di avvalersi del servizio di assistenza l’eventuale versamento già effettuato non è più valido e occorre versare nuovamente gli importi in sede di registrazione dell’atto che viene effettuata fisicamente presso la camera di commercio.

5) Controlli antimafia. Per abbreviare i tempi relativi alla verifica dei requisiti soggettivi dei soci viene da ultimo richiesto di far compilare ai genitori e familiari conviventi dei soci sottoscrittori una specifica autocertificazione antimafia.

Il bilancio delle start-up innovative: la nota integrativa

Il D.Lgs. del 18.08.2015 n. 139, attuativo della Direttiva n. 2013/34/UE, in materia di bilancio d’esercizio e consolidato, ha introdotto importanti novità in tema di bilanci e nota integrativa (articolo 2425 e seguenti del codice civile).

In particolare viene inoltre introdotto il concetto di micro-impresa, intendendo con tale termine l’impresa che nel primo esercizio o successivamente per due esercizi consecutivi, non supera due dei seguenti tre limiti: totale attivo dello stato patrimoniale non superiore a 175.000 euro, ammontare dei ricavi inferiore a 350.000 euro e dipendenti occupati in media durante l’esercizio inferiore alle 5 unità, a partire dall’esercizio 2016.

Per le micro-imprese il bilancio sarà composto semplicemente dal Conto Economico e dallo Stato Patrimoniale. Quindi, non sarà più richiesta la Nota integrativa, la relazione sulla gestione e il rendiconto finanziario.

Tuttavia la normativa sulle start-up innovative, con particolare riferimento alle società che possiedono come requisito quello relativo alla percentuale di spese in ricerca e sviluppo (15% del maggiore tra valore della produzione e costi della produzione), prevede che tali spese (in ricerca e sviluppo) risultano dall’ultimo bilancio approvato e sono descritte in nota integrativa.

E’ necessario quindi che le start-up innovative che intendano avvalersi del requisito delle spese di ricerca e sviluppo, anche se si trovano sotto ai limiti dimensionali indicati dal D.Lgs. 139/2015, provvedano a redigere la nota integrativa in maniera completa aggiungendo il dettaglio delle spese in ricerca e sviluppo.

In questo senso vedi anche il parere del ministero dello Sviluppo economico (protocollo 361851 del 17 novembre scorso).

Investimenti in start-up innovative: cade la soglia del 30%?

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 84 dell’11 aprile 2016 il decreto che proroga l’agevolazione fiscale per gli investimenti in start-up innovative.

Si tratta di un decreto che è quasi una fotocopia del Decreto 30 gennaio 2014 con cui era stata introdotta per la prima volta l’agevolazione, ma con una importante differenza.

L’agevolazione, è bene ricordarlo, consiste in una detrazione pari al 19% (nel caso di investitore persona fisica) 0 del 20% (nel caso di investitore-società) dei conferimenti di capitale effettuati in start-up innovative.

In base all’art. 2, comma 3, lettera d) del Decreto del 30 gennaio 2014 sono tuttavia agevolabili i soli conferimenti posti in essere da soggetti che prima di effettuare l’investimento non possiedono partecipazioni superiori al 30 per cento (limitazione introdotta in sede di notifica della misura in oggetto dalla Commissione Europea che è da tempo orientata a far rispettare tale vincolo per gli aiuti di Stato per gli investimenti in capitale di rischio).

Tuttavia nel nuovo decreto pubblicato l’11 aprile tale soglia del 30% non compare più e l’agevolazione sembra venir concessa ai soci attuali solo se gli investimenti ulteriori erano previsti dal piano aziendale.

In calce potete trovare il testo del decreto con evidenziata l’articolo incriminato. Come si può notare il testo è alquanto oscuro auspichiamo un chiarimento ufficiale da parte degli organi competenti.

___ ATTO COMPLETO ___

Costituzione di start-up innovative senza notaio

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di ieri il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico con cui viene prevista la possibilità di costituire start-up innovative senza l’intervento del notaio.

La procedura prevede l’adozione di un modello di atto costitutivo standard che deve essere firmato digitalmente da tutti i soci e depositato presso il registro delle imprese entro 20 giorni dall’ultima sottoscrizione.

La procedura è limitata alla società a responsabilità limitata, anche unipersonali, non semplificate e che richiedano contestualmente all’iscrizione anche l’annotazione nel registro delle start-up innovative possedendone, ovviamente, tutti i requisiti.

Non è chiaro se l’adozione di un modello standard di statuto renda impossibile ogni successiva modifica dello stesso come avviene attualmente per le srl semplificate. In ogni caso se una modifica fosse possibile sarebbe presumibilmente necessario l’intervento del notaio come ricorda l’art. 4 del decreto.

Il modello standard di atto costituivo è scaricabile qui.

 

 

La start-up innovativa apre ai soci lavoratori?

Con la Risoluzione 87/E del 14/10/2014 l’Agenzia delle Entrate interviene sui requisiti richiesti ai fini dell’iscrizione nell’elenco delle start-up innovative. Viene in particolare esaminato il secondo dei requisiti alternativi richiesti dall’art. 25, comma 2, lett. h Dl 179/2012 ossia quello della forza lavoro “qualificata“. Tale requisito, lo ricordiamo, prevede l’impego “come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, personale in possesso di laurea magistrale“.

In sintesi l’Agenzia delle Entrate chiarisce che:

qualsiasi lavoratore percipiente un reddito di lavoro dipendente ovvero a questo assimilato può essere ricompreso tra la forza lavoro rilevante ai fini della verifica della sussistenza del requisito;

– l’impiego del personale qualificato può avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo” e che sicuramente rientra nel novero anche la figura del socio amministratore;

– tuttavia, il dato letterale della norma non può portare alla scissione della locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” da quella di “impiego”. Pertanto gli amministratori-soci possono essere considerati ai fini del rapporto di cui all’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del DL n. 179 /12, soltanto se anche soci-lavoratori o comunque aventi un impiego retribuito nella società “a qualunque titolo”, diverso da quello organico;

– in caso contrario, qualora i soci avessero l’amministrazione della società ma non fossero in essa impiegati, gli stessi non potrebbero essere considerati tra la forza lavoro, ai fini del citato rapporto, atteso che la condizione relativa “all’impiego” nella società non risulterebbe verificata;

– gli stagisti, essi possono essere computati quale forza lavoro solo nel caso in cui siano retribuiti mentre i consulenti esterni titolari di partita Iva non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini del citato rapporto;

– ai fini della verifica della percentuale di un terzo o di due terzi, si deve effettuare un calcolo “per teste” e non in base alla remunerazione.

L’intervento chiarificatore dell’Agenzia pare sicuramente apprezzabile. Tuttavia, con riguardo alla figura del socio-lavoratore non risulta chiaro se l’Agenzia intende riferirsi alla circostanza di fatto per cui il socio in quanto tale svolga la propria attività in favore della società (c.d. “socio d’opera” come definito ad es. ai fini inps) oppure al fatto che lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte del socio sia necessariamente formalizzata in un apposito contratto di lavoro dipendente con la società.

Ricordiamo infatti che la seconda ipotesi, pur essendo generalmente ammessa dalla giurisprudenza, potrebbe conciliarsi in modo problematico con le condizioni dettate dall’inps (circolare 21.6.1983 n. 177) ai fini della ammissibilità di un rapporto di lavoro subordinato con la società. In tale documento di prassi infatti l’inps afferma, tra l’altro, che “la prestazioneda parte del socio di attività lavorativa per la società deve essere diversa da quella che svolge eventualmente come socio” e tale circostanza appare francamente poco realizzabile nell’ambito delle società a ristretta base societaria che spesso possiedono gli altri requisiti per essere start-up innovative.

Ricordo infine che secondo la giurisprudenza (da ultimo Tribunale di Genova sentenza 299/2014) il socio non può giuridicamente dipende da sè stesso e quindi non sarebbe possibile stipulare un contratto di lavoro subordinato quando si è in presenza di un unico socio o di partecipazioni maggioritarie.

 

 

Start-up innovative e studi di settore

Alle start-up innovative non si applicano le disposizioni in materia di società di comodo e di società in perdita sistematica di cui all’articolo 30 della legge 23/12/1994, n. 724 e all’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies del dl 13/8/2011, n. 138.

Per “società di comodo” si intendono quelle che non sono preposte a svolgere un’attività economica o commerciale, ma soltanto a gestire un patrimonio mobiliare o immobiliare. L’ordinamento tributario prevede una disciplina di contrasto a tali tipi societari, volta ad evitarne l’utilizzo a fini antielusivi che viene derogato nel caso in commento. Le start-up innovative, infatti, ben difficilmente potrebbero prestarsi alla mera intestazione di beni che restano nella disponibilità dei soci, dal momento che la principale classe di immobilizzazioni immateriali iscritta nell’attivo di tali società sarà costituita dalle spese di ricerca e sviluppo ovvero investimenti necessari alla realizzazione del proprio oggetto sociale innovativo.

Tuttavia la disciplina delle start-up innovative nulla afferma circa l’applicabilità o meno a tali società degli studi di settore, ovvero di quel meccanismo che consente al fisco di stimare i ricavi attribuibili al contribuente sulla base dei dati contabili e delle caratteristiche strutturali dell’attività svolta.

Sembrerebbe un controsenso, da un lato, escludere le start-up innovative dall’applicazione dei meccanismi sulle società di comodo costringendole invece, dall’altro, a dichiarare comunque un reddito minimo sulla base di altri parametri tra cui l’entità degli invetimenti effettuati.

Sarebbe auspicabile che tali società venissero escluse dall’applicazione degli studi di settore prevedendo magari una causa di esclusione ad hoc o consentendo, in sede di compilazione del modello, di inserire una causa giustificativa di esonero costituita dall’iscrizione nell’apposita sezione speciale del registro delle impese.